Con la recente ordinanza n. 10070 depositata il 16 aprile 2025 la Corte di Cassazione affronta il tema del termine di prescrizione del diritto al rimborso del credito IVA nel particolare caso della società cessata o fallita. Al riguardo, ha ribadito il proprio orientamento secondo cui le imprese cessate o fallite non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo, per cui il diritto al rimborso – regolato dall’art. 30 del d.P.R. n. 600/1973 – è soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992 applicabile in via sussidiaria e residuale in mancanza di disposizioni specifiche. Il caso Il sig. F.P. ha impugnato il diniego al rimborso opposto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Cosenza in relazione alla richiesta di rimborso del credito IVA della società di cui è stato socio e ormai cessata, riportato nel Modello Unico 2002. A tale Modello ha fatto seguito la presentazione di un’istanza di rimborso depositata il 19 gennaio 2012 e reiterata il 7 maggio 2015, ritenendo che il diritto al rimborso dell’IVA si debba prescrivere nel termine ordinario di dieci anni e non di due, previsto quest’ultimo dall’art. 21, comma 2 del d.lgs. n. 546/1992. L’Ufficio si è costituito sostenendo l’intervenuta prescrizione del credito IVA in virtù dell’art. 21 cit., tenendo conto altresì che nel caso di specie il credito era stato esposto in dichiarazione non come credito da rimborsare ma come credito da utilizzare in compensazione/detrazione. Ciò non avrebbe consentito all’Amministrazione finanziaria di verificare la sussistenza dei requisiti per la restituzione dell’imposta. La CTP di Cosenza ha accolto il ricorso proposto dal contribuente, con una sentenza che è stata confermata in sede di gravame. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi. Per quanto rileva in questa sede, la ricorrente ha denunziato l’erroneità della sentenza di secondo grado che ha riconosciuto il diritto del contribuente ad ottenere il rimborso del proprio credito nonostante la dichiarazione evidenzi la volontà di utilizzare il credito in compensazione / detrazione con altri debiti verso l’Erario. Da ciò deriverebbe, quale ulteriore conseguenza, l’applicazione del termine di prescrizione breve di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992 in luogo dell’ordinario termine di prescrizione. Termine di prescrizione che sarebbe già decorso in occasione della presentazione dell’istanza di rimborso. Il contribuente non si è costituito nel giudizio di legittimità. La decisione La Suprema Corte con la decisione in commento ha respinto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria. Al riguardo, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso relativo alla natura errata della sentenza, posto che lo stesso non si confronta con la ratio decidendi della decisione. Ciò in quanto la CTR adita ha ritenuto di applicare l’ordinario termine di prescrizione in ragione della cessazione dell’attività della società, la quale peraltro per vicissitudini giudiziarie non è stata in grado di presentare le dichiarazioni relative agli anni successivi al 2001. Ebbene, richiamando il proprio orientamento ormai consolidato, la Suprema Corte ha stabilito che le imprese cessate o fallite non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo, per cui il diritto al rimborso – regolato dall’art. 30 del d.P.R. n. 600/1973 – è soggetto al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, applicabile in via sussidiaria e residuale in mancanza di disposizioni specifiche[1]. Infine, la Corte ha precisato che il diritto al rimborso dell’eccedenza IVA per cessazione attività, ai sensi dell’art. 30, comma 2 del d.P.R. n. 633/1972, sorge al momento della cessazione dell’attività[2]. F.D.D. [1] Cass. n. 5024/2015, n. 24889/2013. [2] Cass. n. 23273/2024.