Prestazioni di servizi: l’obbligo di fatturazione, ai fini IVA, sorge con la materiale esecuzione della prestazione

12 Maggio 2025

Con la sentenza n. 10693 del 23 aprile 2025, la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sul tema della corretta interpretazione dell’art. 6, co. 3 DPR 633/1972 il quale stabilisce, ai fini IVA, che “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”.  Nel solco di un orientamento ormai consolidato, esprime il principio secondo cui, in relazione alle prestazioni di servizi, l’obbligo di fatturazione sorge con la materiale esecuzione della prestazione – vale a dire, con il fatto generatore dell’imposta – laddove invece il pagamento del corrispettivo rappresenta soltanto l’estremo limite temporale per l’adempimento.

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La vicenda

Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte origina dalla notifica di un avviso di rettifica IVA per l’anno di imposta 2003, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società contribuente l’omessa fatturazione di operazioni imponibili inerenti alla gestione del servizio idrico cittadino.

La ripresa erariale scaturiva da una riscontrata irregolarità della gestione contabile. A seguito dell’attività di verifica fiscale, infatti, era emerso che, a fronte di una prestazione ultimata, la società aveva proceduto alla registrazione delle suindicate operazioni, prima in un conto “fatture da emettere” e successivamente in un conto relativo a “crediti da riscuotere”, senza tuttavia provvedere all’effettiva emissione dei documenti fiscali. 

La società impugnava l’atto impositivo sostenendo che la gestione del servizio idrico rientra tra le prestazioni di servizi, e come tale è soggetta alla deroga contenuta nell’art. 6, co. 3 del DPR 633/1972, ai sensi del quale le operazioni ai fini IVA “si considerano compiute all’atto del pagamento del corrispettivo”; di talché, in assenza di prove e/o indizi di pagamenti effettivamente ricevuti, il recupero operato dall’Amministrazione finanziaria doveva considerarsi illegittimo.

La Commissione tributaria provinciale di Catania accoglieva il ricorso proposto dalla società.

La decisione, a seguito dell’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, veniva parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale Sicilia, che riteneva non condivisibile la tesi addotta dalla società.

La contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a plurimi motivi. Per quanto rileva ai fini del presente commento, con il secondo motivo la società censurava la sentenza per avere i giudici di appello ritenuto legittimo il recupero operato dall’amministrazione finanziaria nonostante la pacifica assenza di prove di pagamenti non fatturati. Sulla scorta di tale rilievo, denunciava pertanto la violazione degli articoli 6, 21 e 54 del DPR 633/1972, oltre che dell’art. 2697 c.c.

La decisione della Corte di cassazione

Con la sentenza in commento la Cassazione ha accolto il ricorso formulato dalla società, disponendo il rinvio della causa alla Corte di Giustizia di secondo grado competente per nuovo esame.  

La Suprema Corte osserva che la gestione del servizio idrico costituisce una prestazione di servizi, e come tale va ricondotta alla fattispecie disciplinata dall’art. 6 c. 3 DPR 633/72, ai sensi del quale “le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo”.

Richiamando un suo precedente insegnamento (Cass. SS.UU. n. 8059/2016), il Collegio ha ribadito che la norma citata va intesa nel senso che la ficta identificazione con il pagamento del corrispettivo investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilità dell’imposta, poiché ove ne risultasse invece coinvolta l’imponibilità e, quindi, l’insorgenza dell’obbligazione tributaria, la disposizione risulterebbe incompatibile con il diritto unionale.

Sul punto, i giudici di legittimità ricordano che la Sesta Direttiva 77/338/CE (art. 10), alla luce delle argomentazioni fornite in materia giurisprudenza unionale (caso C-144/94), postula una cesura tra due momenti: quello del fatto generatore dell’imposta, cui si ricollegano l’operatività della disciplina del tributo ed i relativi effetti; e quello dell’esigibilità, che rappresenta l’attitudine dell’imposta ad essere pretesa in riscossione dall’Erario.

Aggiunge inoltre che, se è pur vero che “fatto generatore” ed “esigibilità” generalmente coincidono, tali elementi tuttavia sono ontologicamente distinti, giacché il primo va necessariamente ancorato al dato oggettivo del materiale espletamento dell’operazione, con la precisazione che l’ordinamento comunitario conferisce agli Stati membri la facoltà di deroga alla disciplina unionale solo con riguardo all’esigibilità (che può essere correlata al momento di pagamento del corrispettivo) ma non all’insorgere dell’obbligazione tributaria e alla sua rilevanza ai fini IVA (art. 10, citato).

Dunque, in ossequio ai principi statuiti dalla giurisprudenza unionale, come richiamati e accolti dal consolidato orientamento interno, la Cassazione ha affermato che, in caso di prestazione di servizi, l’obbligo di emissione della fattura sorge con la materiale esecuzione della prestazione – vale a dire, con il fatto generatore dell’imposta – benché, in relazione alla previsione contenuta nell’art. 21 DPR n. 63372, ai fini dell’adempimento è riconosciuto in favore dell’obbligato termine fino al pagamento del corrispettivo.

La Corte conclude che, qualora l’Amministrazione finanziaria intenda contestare l’omessa fatturazione delle operazioni ha l’onere di provare, anche sulla base di elementi presuntivi, che il pagamento, pure per equivalente, è stato in realtà compiuto, oppure che il contribuente abbia inteso sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di fatturazione e di assolvimento dell’IVA, “anche in considerazione del tempo trascorso dall’esecuzione dell’operazione, attesi l’interesse del prestatore a ricevere il pagamento rapido del prezzo ed il correlato diritto di detrazione dell’imposta in capo al committente”.

M.A.G.

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