Con la sentenza n. 25415, depositata il 23 settembre 2024, la Suprema Corte ha stabilito che l’ex-liquidatore di una società estinta è privo di legittimazione processuale. È pertanto inammissibile il ricorso da questi proposto avverso l’avviso di accertamento emesso post-cancellazione. *** Il caso A seguito dell’emissione di un processo verbale di constatazione relativo al biennio 2011-2012, da cui emergeva un quadro caratterizzato dalla sussistenza di un meccanismo fraudolento volto all’evasione dell’IVA (frode carosello) in cui la società verificata avrebbe ricoperto il ruolo di missing trader, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento ed un atto di contestazione delle sanzioni nei confronti della società, medio tempore cancellata dal Registro delle Imprese (nel gennaio 2014), nonché al liquidatore ed amministratore unico pro tempore. Quest’ultimo impugnava entrambi i provvedimenti con separati ricorsi, agendo in qualità di liquidatore ed ultimo amministratore pro tempore della società, risultante vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio. L’Agenzia delle Entrate proponeva, pertanto, ricorso per cassazione articolato in molteplici motivi. La decisione Con il primo motivo di ricorso, rilevante ai fini della decisione, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495 c.c. nonché degli art. 75, 81 e 110 c.p.c. per avere il giudice di appello trascurato di considerare che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era da ritenere inammissibile in quanto proposto dall’ex-liquidatore e amministratore unico pro tempore di una società non più esistente, in quanto cancellata dal Registro delle Imprese prima della notifica dei provvedimenti oggetto di impugnazione. La Suprema Corte, in accoglimento del gravame, ha ritenuto che l’intervenuta cancellazione della società anteriormente alla notifica dell’avviso di accertamento e, pertanto, all’impugnazione di quest’ultimo e dell’atto di contestazione non può che determinare il difetto di capacità processuale in capo all’ex-liquidatore e amministratore pro tempore, inficiandone la legittimazione ad agire in giudizio per conto dell’ente. Tale vizio, afferendo al ricorso introduttivo del giudizio, è insanabile e originario: come tale, i giudici di prime cure avrebbero dovuto rilevarlo, dichiarando ab origine l’inammissibilità del ricorso. Viceversa, la mancata declaratoria di inammissibilità ha avuto come esito la prosecuzione del giudizio in secondo grado. Tuttavia, non sussistendo la prerogativa di proseguire l’azione da parte dell’ex-liquidatore e amministratore unico nel giudizio di cassazione, la sentenza di appello impugnata è meritevole di annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c. Nulla è detto, peraltro, in merito ai soggetti (verosimilmente i soci dell’ente estinto) dotati di capacità processuale in casi consimili. Occorre tuttavia segnalare che, nel caso di specie, la cancellazione della società aveva avuto luogo nel gennaio 2014, vale a dire anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 28 D.Lgs. n. 175/2014, in vigore dal 13 dicembre 2014, secondo cui “ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui a quest'articolo ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese” (principio della c.d. “sopravvivenza fiscale” della società dopo la cancellazione). Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sancito in più occasioni la natura sostanziale della norma in esame, con la conseguenza della sua irretroattività: “Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell'estinzione della società derivanti dall'art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differì- mento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente” (cfr. Cass., n. 6743/2015, n. 15648/2015, n. 4536/2020). Ferma restando tale necessaria precisazione relativa ai profili temporali di operatività della norma, la Suprema Corte ha dunque più volte valorizzato, sulla scorta della stessa, una ‘ultrattività’ della legale rappresentanza (e della legittimazione ad agire) dell’ex-liquidatore, statuendo nel senso per cui “in tema di cancellazione della società dal registro delle imprese, il differimento quinquennale degli effetti dell'estinzione, previsto dall'articolo 28, comma 4, del Decreto Legislativo numero 175 del 2014 - disposizione di natura sostanziale, operante solo nei confronti dell'amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi - implica che il liquidatore conservi tutti i poteri di rappresentanza della società sul piano sostanziale e processuale, con la conseguenza che egli è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, mentre sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall'articolo 2495, comma 2, del Codice civile sono posticipati anche ai fini dell'efficacia e validità degli atti del contenzioso” (ex pluribus Cass., n. 36892/2022 e Cass. n. 22070/2023). F.N.