IVA, necessaria ai fini del rimborso la qualificazione dell’operazione in presenza di variazioni dell’imponibile

31 Luglio 2023

In presenza di variazioni dell'imponibile o dell'imposta ai fini della nota di credito e dei presupposti per ottenere il rimborso dell'imposta è imprescindibile la qualificazione dell'operazione economica sottostante come imponibile o esclusa ai fini IVA. Nel primo caso è necessaria, ai fini del rimborso, la verifica della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 26 del d.P.R. 633/1972, mentre nella seconda ipotesi il rimborso è di regola dovuto solo entro il termine decadenziale di cui all’art. 21, co. 2, del d.lgs. 546 del 1992. Questo il principio espresso nell’ordinanza Cass. 22996/2023.

Il caso

In tema di detrazione Iva in caso di variazioni dell'imponibile o dell'imposta ai fini della nota di credito e dei presupposti per ottenere il rimborso dell'imposta, è rilevante la qualificazione dell'operazione economica sottostante, se imponibile o se fuori campo Iva, dal momento che, nel primo caso, dev’essere verificata l'esistenza dei presupposti di cui all’art. 26 d.P.R. 633 del 1972 ai fini del rimborso, mentre nel secondo l’Amministrazione finanziaria è tenuta al rimborso, ma non in ogni caso, bensì solo entro il termine di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. 546 del 1992, salvo l'effettivo rimborso dell'imposta al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo.”

È questo il principio di diritto affermato, in continuità con il proprio orientamento consolidato, dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22996 del 28 luglio 2023, all’esito di un contenzioso avente ad oggetto un avviso di accertamento emesso per indebita detrazione dell’imposta sul valore aggiunto mediante emissione di una nota di credito la cui legittimità era stata fatta oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Nel dettaglio, il contribuente aveva emesso nei confronti di una s.r.l. una fattura a titolo di acconto su prossime forniture, poi stornata con nota di credito in quanto le predette forniture non erano state effettuate. Secondo l’Ufficio era venuta a configurarsi, nel caso di specie, un’operazione finanziaria esclusa dal campo IVA ai sensi degli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA). La nota di credito, inoltre, sarebbe stata priva dei requisiti di cui all’art. 26, s.d.

Il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Torino, ottenendo un accoglimento parziale. Tuttavia, in sede di appello la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte aveva integralmente annullato le riprese erariali ritenendo ininfluente, nel merito, la qualificazione dell’operazione economica.

La decisione della Suprema Corte

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la pronuncia di secondo grado affidando le proprie doglianze a un unico motivo di diritto con cui ha lamentato, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 del Decreto IVA, 21 del D. Lgs. n. 546/1992 e 2697 c.c. in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuto non rilevante la qualificazione dell’operazione, in spregio ai requisiti di legge richiesti dal richiamato art. 26 onde ritenere legittima la variazione in diminuzione dell’operazione imponibile.

I giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso proposto da parte erariale, hanno tracciato un sintetico quadro riassuntivo della normativa e dell’orientamento giurisprudenziale dominante in tema di qualificazione dell’operazione sottostante e di presupposti ex art. 26 del Decreto IVA.

La norma indubbiamente consente al cedente di portare in detrazione l’imposta ove l’operazione oggetto della fattura sia venuta meno o ne sia stato ridotto l’ammontare; tuttavia, al fine di accedere al regime della variazione in diminuzione dell’imposta, è necessario – sotto un profilo strettamente formale – che la variazione e la relativa causa vengano debitamente registrate a norma dell’art. 25 del Decreto IVA.

Il contribuente ha infatti l’onere di comprovare il ricorrere dei presupposti di legge per accedere al predetto regime. In tal senso è necessaria la registrazione “corretta e completa” delle operazioni quale fonte privilegiata ai fini dell’assolvimento dell’onere in questione, salva la possibilità di provvedervi mediante altri mezzi di prova nel rispetto delle regole generali e, in particolare, dell’art. 2704 c.c.

Ove poi, come nel caso di specie sostenuto dal contribuente, l’operazione oggetto della fattura sia venuta meno in un momento successivo alla sua registrazione, il committente/cessionario ha l’onere di annotare, ai sensi del citato art. 26, la variazione nel registro delle fatture e di provvedere a indicarla, nei termini di legge, nella successiva liquidazione, onde rilevare in sede contabile la sopravvenuta carenza del diritto a detrarre l’imposta spettante al cedente/prestatore.

In tal senso, l’avvenuta corresponsione – come nel caso in esame – di un acconto sul prezzo pattuito costituisce, secondo l’orientamento della Suprema Corte (recentemente ribadito da Cass., ord. 19 gennaio 2023, n. 1609), operazione imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 6, co. 4, d.P.R. n. 633/1972: da ciò discende l’obbligo, per il cedente/prestatore, di emettere e registrare fattura con esposizione dell’IVA e, nel caso in cui venga meno in un secondo momento l’effettuazione dell’operazione, di procedere alla rettifica della stessa ai sensi dell’art. 26 del Decreto IVA, con conseguente emissione di una fattura di restituzione degli importi versati.

Pertanto, a giudizio del Collegio di legittimità, in nessun caso è possibile prescindere dalla qualificazione dell’operazione economica contestata come fuori campo o, viceversa, come imponibile ai fini IVA. In tale ultima ipotesi dovrà essere verificata la sussistenza dei presupposti del rimborso contemplati dal richiamato art. 26 del Decreto IVA. Ove, invece, l’operazione venga qualificata come fuori campo IVA, i Giudici ritengono che l’Amministrazione sia tenuta al rimborso non in ogni caso (come erroneamente ritenuto dal Collegio di secondo grado), ma solo entro il termine decadenziale di cui all’art. 21, co. 2, del D.Lgs. n. 546/1992, vale a dire entro due anni dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Riaffermata l’imprescindibilità della qualificazione dell’operazione come rilevante o meno ai fini IVA al fine di ottenere il rimborso dell’imposta in presenza di variazioni, affermando il principio di diritto sopra riportato, la Suprema Corte ha dunque cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice di secondo grado in diversa composizione.

F.N.

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