Stabile organizzazione non indispensabile per la produzione di redditi d’impresa

27 Giugno 2022

Abstract

Con l'Ordinanza n. 19862 depositata il 20 giugno 2022 la Suprema Corte si è pronunciata in merito alla tassazione di redditi realizzati mediante la cessione di terreni da parte di una società estera priva di stabile organizzazione in Italia. A tal proposito, ha affermato il principio secondo cui l'esistenza di una stabile organizzazione non è condizione necessaria affinché un soggetto possa essere qualificato come società commerciale ed affinché gli atti dallo stesso compiuti possano ricondursi all'esercizio dell'impresa.

Il caso

Con avviso di accertamento notificato alla Societé Générale de Sucreries S.A., società avente sede in Belgio, l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Padova ha recuperato a tassazione ai fini IRES l'importo di euro 95.565 ai sensi dell'art. 86 del TUIR quale plusvalenza patrimoniale conseguente alla vendita di terreni edificabili siti in Alessandria. L'Ufficio ha altresì accertato una maggiore IRAP per euro 12.436 dovuta alla Regione Piemonte oltre a sanzioni per euro 131.833,20. I maggiori redditi sono relativi all'anno di imposta 2004, annualità per la quale la società ha omesso la presentazione della dichiarazione.

La società ha impugnato il suddetto avviso innanzi alla CTP di Padova che ha respinto il ricorso della ricorrente. Alla base delle doglianze contenute nell'atto introduttivo del giudizio vi era la considerazione secondo cui la società non avesse una stabile organizzazione in Italia. Ciononostante l'Ufficio ha ritenuto di configurare un reddito d'impresa conseguito con la vendita di terreni edificabili in Alessandria.

La società ha proposto ricorso in appello innanzi alla CTR del Veneto che lo ha accolto limitatamente all'IRAP e respinto per la restante parte.

La sentenza di appello è stata impugnata in Cassazione con ricorso articolato in sette motivi.

Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 86 e 151 del TUIR per aver ritenuto la CTR di assoggettare alle imposte dirette la plusvalenza anche se la società estera ricorrente non fosse in possesso di una stabile organizzazione in Italia. Al riguardo, ha precisato che il legislatore ha voluto distinguere gli enti commerciali aventi una stabile organizzazione in Italia da quelli che ne sono privi, assoggettando soltanto i primi all'IRES e alla normativa del c.d. “reddito complessivo” di cui all'art. 81 del TUIR. Secondo la norma appena citata, il reddito da qualsiasi fonte proveniente deve considerarsi reddito d'impresa e determinato secondo le relative disposizioni.

In sostanza, secondo la prospettazione della società, la stessa non qualificandosi come ente commerciale con stabile organizzazione in Italia sarebbe stata soggetta soltanto al titolo I del TUIR, con la conseguenza che le fonti di reddito non possono qualificarsi come reddito d'impresa ma devono ascriversi nelle singole categorie reddituali nelle quali rientrano.

I successivi tre motivi di ricorso si ricollegano alla medesima violazione dedotta con il primo, mentre con i restanti motivi si ritiene illegittimo l'atto in quanto emesso dall'Ufficio di Padova in luogo dell’Ufficio di Alessandria, competente in quanto relativo al luogo ove è stata conseguita la plusvalenza.

La decisione

La Cassazione con la sentenza in commento ha respinto il ricorso della società.

Con particolare riferimento al primo motivo, la Suprema Corte ha affermato che l'art. 152 del TUIR, ritenuto applicabile nella specie, nel rilevare che “in mancanza di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati secondo le disposizioni del titolo I, relative alle categorie reddituali nelle quali rientrano” non pone in dubbio il fatto che il reddito imputato alla società sia qualificabile come reddito d'impresa. In forza del rinvio al capo II sez. I titolo II, le plusvalenze patrimoniali delle società non residenti e senza stabile organizzazione concorrono a formare i redditi imponibili.

Inoltre, precisa la Cassazione, è fuori discussione che la società esercitasse attività commerciale al tempo della compravendita dei terreni edificabili in Alessandria, né la stessa ha mai indicato a quale diversa attività sarebbe riconducibile il reddito connesso alla plusvalenza prodotta in Italia.

La Corte quindi ha chiarito il principio secondo cui “una società non residente che non abbia in Italia una stabile organizzazione non esclude che gli atti, produttivi di reddito, compiuti sul territorio nazionale siano ascrivibili all'esercizio dell'impresa commerciale di cui la società è titolare e che, di conseguenza, quel reddito sia qualificabile come reddito d'impresa. In altri termini, l'esistenza di una stabile organizzazione in Italia non è una condizione necessaria affinché un soggetto possa essere qualificato come società commerciale ed affinché gli atti da esso compiuti in territorio italiano possano essere ricondotti all'esercizio dell'impresa”.

Degna di nota è infine la decisione della Cassazione in ordine alla questione di competenza dell'Ufficio impositore. A tal proposito, la Suprema Corte ha rilevato come tra il 2000 e il 2009 la società abbia effettuato pagamenti di imposte con modello F23 indicando il codice fiscale di cui era titolare prima del trasferimento, al quale era associata la vecchia sede di Padova. Tale indicazione sarebbe rilevante al fine di individuare la competenza dell'Ufficio di Padova posto che la società ha inteso con tale Ufficio intrattenere i suoi rapporti fiscali successivamente al trasferimento. Diversamente opinando, ad avviso della Corte, si realizzerebbe una violazione (anche) del principio di collaborazione e buona fede che, come prevede l'art. 10 della Legge n. 212/2000, regola i rapporti tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria.

F.D.D.

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