La confisca per equivalente di beni “futuri”

11 Novembre 2021

Abstract

Con la sentenza n. 36369 dell’1.7.2021 (dep. 7.10.2021), la Cassazione penale è tornata a pronunciarsi sul tema della confiscabilità dei beni “futuri”, cioè non ancora presenti nel patrimonio del condannato al momento dell’adozione del provvedimento ablatorio. L’indirizzo giurisprudenziale cui la Corte ha aderito nella sentenza in esame è quello che esclude la possibilità di applicare la confisca per equivalente sui beni che sopravvengono nella disponibilità del condannato in un momento successivo rispetto alla decisione.

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Il caso

La vicenda riguarda la confisca per equivalente disposta sui beni della ricorrente dal G.i.p. presso il Tribunale di Lecco nell’ambito di un decreto penale di condanna emesso per reati tributari di cui al D.lgs. 74/2000.

Avverso la decisione relativa alla confisca, la ricorrente aveva avanzato al G.i.p. di Lecco, in funzione di Giudice dell’esecuzione, istanza di restituzione delle somme di denaro confiscate, che era stata rigettata con ordinanza datata 11 giugno 2020. Avverso tale ultima ordinanza la ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione deducendo tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, è stato eccepito il vizio di violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 12-bis del D.lgs. 74/2000, avendo il Tribunale ritenuto confiscabili per equivalente anche somme entrate nel patrimonio della ricorrente solo dopo che il provvedimento di confisca era diventato irrevocabile. Tale misura ablatoria, secondo il difensore, sarebbe illegittima in quanto volta a spossessare il soggetto condannato di “beni futuri”.

Con il secondo motivo è stata poi dedotta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui il G.i.p. deduceva l’insufficienza delle prove fornite dalla ricorrente per dimostrare l’insorgenza “futura” dei beni sottoposti a vincolo.

Infine, con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione della lett. c) dell’art. 606 c.p.p., in quanto – a fronte della asserita carenza di prove fornite dalla ricorrente – il G.i.p. avrebbe dovuto esercitare d’ufficio il potere di richiedere alle autorità competenti i documenti e le informazioni di cui necessitasse per la propria decisione.

La pronuncia

La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 36369/2021 ha ritenuto fondati i motivi di impugnazione proposti e ha ordinato l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lecco per nuovo giudizio.

In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto di aderire all’orientamento giurisprudenziale che esclude la possibilità di sottoporre a confisca i beni meramente “futuri”, non individuati o non individuabili al momento dell’emissione del provvedimento.

La natura sanzionatoria della confisca impone, infatti, di estendere alla sua applicazione quel principio di “non ultrattività” che vale per le norme penali. Tale principio impedisce pertanto, secondo questo orientamento, che la sanzione possa operare per il futuro, colpendo beni non presenti nel patrimonio del reo al momento della decisione.

La non confiscabilità dei beni entrati nel patrimonio dell’interessato dopo la pronuncia definitiva deriva dunque dalla natura sanzionatoria della misura e non, invece, dal timore di investire del provvedimento ablatorio beni che non costituiscono il profitto del reato commesso. Ciò in quanto, come noto, la confisca per equivalente riguarda sempre beni che sono entrati legittimamente nel patrimonio dell’imputato, a prescindere dalla sussistenza di un nesso di pertinenzialità dei beni stessi rispetto al reato commesso.

Da tale ragionamento deriva altresì la conseguenza che, invece, il sequestro per equivalente di un bene “futuro” per un fatto commesso prima del provvedimento cautelare è del tutto legittimo e non comporta alcuna violazione del principio di legalità.

Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha così annullato l’ordinanza impugnata sottolineando, quanto al secondo e il terzo motivo di ricorso, che il G.i.p. di Lecco avrebbe violato l’art. 666 co. 5 c.p.p., che disciplina i poteri istruttori del giudice dell’esecuzione, in quanto ,anziché rigettare il ricorso per insufficienza delle prove fornite, avrebbe dovuto esercitare direttamente i propri poteri di integrazione probatoria ovvero concedere alla parte un termine per reperire la documentazione necessaria, al fine di dimostrare la sopravvenienza dei beni sottoposti a sequestro nel patrimonio della stessa in un momento successivo all’emissione del provvedimento che ha disposto la confisca.

La sentenza in esame si inserisce nell’alveo di un orientamento giurisprudenziale in materia di confisca di beni “futuri” che si scontra con altro autorevole orientamento secondo il quale, invece, “accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati nella disponibilità dell'imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell'importo determinato[1].

Questa seconda impostazione prende le mosse dal presupposto che i beni colpiti da confisca debbano essere “individuati” o “individuabili” anche durante la fase di esecuzione della misura e i beni “individuabili” possano essere anche quelli acquisiti successivamente alla pronuncia. Tale orientamento valorizza il carattere ripristinatorio e riequilibratore della misura, a differenza dell’orientamento espresso dalla sentenza in commento, che invece ne esalta la natura sanzionatoria. 

L’esistenza di tale contrasto giurisprudenziale andrebbe risolto da una pronuncia delle Sezioni Unite delle quali si auspica un intervento chiarificatore, necessario in una materia come quella che riguarda la confisca per equivalente, che influisce in maniera determinante sugli interessi economici del reo.


[1] Cass. pen., sez. Sez. VI, Sent., (ud. 23-07-2015) 30-07-2015, n. 33765.

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