Abstract Gli artt. 73 e 78 della Direttiva 2006/112/CE, letti alla luce del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che, qualora un soggetto passivo IVA commettendo un’evasione non abbia indicato l’esistenza dell’operazione al fisco, né emesso fattura, né fatto figurare nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette i redditi ottenuti in occasione della stessa operazione, la ricostruzione nell’ambito dell’attività di controllo degli importi versati e percepiti durante l’operazione in questione da parte dell’amministrazione tributaria interessata deve essere intesa quale importo già comprensivo dell’IVA, a meno che, secondo il diritto nazionale, i soggetti passivi abbiano la possibilità di ripercuotere e detrarre successivamente l’IVA, nonostante l’evasione. Questo il principio espresso nella Sentenza del 1° luglio 2021 (causa C-521/19) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. 3. *** Il caso CB, cittadino spagnolo, è un lavoratore autonomo che esercita l’attività di agente artistico, attività soggetta all’IVA. CB in particolare contattava i comitati per le feste e altri gruppi organizzatori di feste negoziando l’esibizione di orchestre. I pagamenti dei compensi di CB venivano eseguiti in contanti da parte dei Comitati. Nell’ambito di un controllo tributario, l’amministrazione finanziaria spagnola ha accertato nei confronti del contribuente importi percepiti e non dichiarati quale corrispettivo per la sua attività di agente artistico per euro 64.414,90 nel 2010, per euro 67.565,40 nel 2011 e per euro 60.692,50 nel 2012, importi che secondo l’Ufficio non includevano l’IVA. Di conseguenza, la base imponibile per l’imposta sul reddito relativa a tali anni doveva accertarsi tenendo conto del totale di detti importi. Nel corso del successivo giudizio, il contribuente si è difeso sostenendo come l’applicazione a posteriori dell’IVA agli importi che l’amministrazione ha considerato redditi occulti sia in contrasto con la disciplina IVA, poiché egli non avrebbe potuto esercitare il diritto di rivalsa dell’IVA nei confronti dei soggetti suoi committenti. In tale contesto, il Tribunale Superiore di Giustizia della Galizia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE la questione se la normativa nazionale sia conforme al Diritto dell’Unione nella parte in cui prevede che, quando gli operatori effettuano, in modo volontario e concordato, operazioni che comportano pagamenti in contanti, senza fattura e senza dichiarazione IVA, simili pagamenti devono intendersi inclusivi dell’IVA. La questione, in particolare, attiene alla corretta interpretazione degli artt. 73 e 78 della Direttiva 2006/112, in relazione al principio di neutralità, ovvero degli articoli che disciplinano la determinazione della base imponibile di un’operazione tra soggetti passivi IVA nel momento in cui gli stessi, ponendo in essere un’evasione fiscale: - hanno omesso di indicare l’operazione all’amministrazione tributaria nella dichiarazione ai fini IVA; - non hanno emesso la corrispondente fattura e - non hanno fatto figurare l’operazione nella dichiarazione presentata ai fini della imposte dirette. La pronuncia Secondo la Corte di giustizia UE: “il fatto che un soggetto passivo non abbia osservato l'obbligo di fatturazione sancito all'articolo 220 della direttiva 2006/112 e che, pertanto, per definizione manchino le indicazioni obbligatorie di cui all'articolo 226, punti da 6 a 10, di tale direttiva non può ostare al principio di base della suddetta direttiva, il quale, secondo una giurisprudenza costante della Corte, risiede nel fatto che il sistema dell'IVA mira a gravare unicamente sul consumatore finale”. La Corte UE precisa altresì che anche se, nell'ambito del controllo fiscale, le verifiche effettuate dall'amministrazione nazionale interessata sono dirette a ripristinare la situazione quale sarebbe esistita in assenza di irregolarità e, a fortiori, di frode, tali metodi non possono pretendere un'affidabilità perfetta con la conseguenza che essi comportano un margine inevitabile di incertezza. Essi mirano pertanto ad ottenere il risultato fiscale più verosimile e più fedele possibile, in funzione degli elementi materiali raccolti durante l'ispezione fiscale. Conclude pertanto la Corte con l’affermazione del principio: “la direttiva 2006/112, in particolare i suoi articoli 73 e 78, letti alla luce del principio di neutralità dell'IVA, deve essere interpretata nel senso che, qualora un soggetto passivo dell'IVA, commettendo un'evasione, non abbia né indicato l'esistenza dell'operazione all'amministrazione tributaria, né emesso fattura, né fatto figurare in una dichiarazione a titolo delle imposte dirette i redditi ottenuti in occasione di tale operazione, la ricostruzione, nell'ambito dell'ispezione di una simile dichiarazione, degli importi versati e percepiti durante l'operazione in questione da parte dell'amministrazione tributaria interessata deve essere intesa come un prezzo già comprensivo dell'IVA, a meno che, secondo il diritto nazionale, i soggetti passivi abbiano la possibilità di ripercuotere e detrarre successivamente l'IVA in questione, nonostante l'evasione”. Per la Corte di Giustizia UE, quindi, ai fini della corretta determinazione della base imponibile IVA diventa fondamentale che il soggetto che abbia posto in essere l’operazione abbia, secondo la legislazione nazionale, la possibilità di esercitare il diritto di rivalsa[1] (e quindi il diritto di recuperare l’Iva relativa all’operazione imponibile effettuata, da versarsi all’Erario, nei confronti del proprio acquirente o committente) e di detrazione[2] (vale a dire il diritto di stornare dall'imposta dovuta sulle operazioni attive effettuate nel periodo, l'IVA relativa agli acquisti o importazioni poste in essere nello stesso periodo) in ossequio al principio di neutralità dell’IVA. F.D.D.D.