Abstract Per le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90 della legge n. 289/2002, il requisito dell’inerenza prescinde dalla riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo. Ricorrendo le condizioni di cui all’art. 90 cit. diventa irrilevante ogni valutazione circa l’inerenza e congruità dei costi in quanto preclusa dalla presumptio legis prevista dalla stessa norma di legge. A tale conclusione giunge la Corte di Cassazione, sez. V, con l’Ordinanza del 27 luglio 2021, n. 21452. *** Il caso Tramite due avvisi di accertamento, riferiti agli anni 2006 e 2007, l’Agenzia delle entrate ha ripreso a tassazione, nei confronti di un contribuente titolare di una ditta individuale, i costi di sponsorizzazione e pubblicità sostenuti in favore di società ed associazioni sportive dilettantistiche per mancanza di inerenza e antieconomicità degli stessi. Il contribuente si è difeso ritenendo applicabile nella specie l’art. 90, comma 8 della legge 289/2002, secondo cui: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'articolo 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”. Per effetto della suddetta disposizione di legge, la corresponsione di una somma di denaro in favore di uno dei soggetti elencati comporterebbe, in presenza dei presupposti previsti, la qualificazione dell’onere quale spesa di pubblicità e, pertanto, l’integrale deducibilità della stessa per il soggetto erogante. L’Ufficio, soccombente in primo grado, ha impugnato la pronuncia della CTP evidenziando come il contribuente, lavorando per conto terzi, non avrebbe potuto instaurare alcun rapporto diretto con i destinatari immediati dell’iniziativa pubblicitaria. Inoltre, secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, graverebbe comunque sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza e la congruità della spesa, requisiti questi imprescindibili per la deducibilità delle spese di sponsorizzazione. In sede di gravame, il contribuente ha insistito circa l’integrale deducibilità delle spese di cui all’art. 90 cit., i cui presupposti applicativi non stati in alcun modo contestati dall’Amministrazione finanziaria. La CTR adita ha respinto il ricorso dell’Ufficio osservando come nessuna contestazione fosse stata mossa in ordine all’effettiva corresponsione delle somme e alla qualificazione soggettiva del beneficiario, presupposti questi rilevanti ai fini dell’applicazione della cennata presunzione. La pronuncia All’esito della doppia pronuncia conforme resa dalle Corti di merito, l’Agenzia delle entrate ha adito il Giudice di legittimità censurando la sentenza di appello per violazione di legge. A tal riguardo, ha ritenuto violata la disciplina recata dall’art. 90, comma 8, L. 289 del 2002, e la conseguente deducibilità dei costi di sponsorizzazione, avendo omesso il Giudice di merito di valutare l’inerenza e l’economicità della spesa, requisiti questi da cui non si può prescindere ai fini della deducibilità del costo. Inoltre, la ricorrente ha precisato che, svolgendo il contribuente la propria attività imprenditoriale esclusivamente per conto terzi (imprese manifatturiere di abbigliamento), la pubblicità – rivolta ad un pubblico “generalista” quale quello presente alle manifestazioni in concreto finanziate – avrebbe generato spese non inerenti in quanto inidonee a generare futuri ritorni economici. Nel dichiarare infondate le censure mosse dall’Amministrazione avverso l’impugnata pronuncia, la Suprema Corte si è soffermata preliminarmente sulla qualificazione giuridica e fiscale delle sponsorizzazioni e, nello specifico, sul criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità. Richiamando precedenti arresti sul punto (Cass., sez. 5, 21/04/2021, n. 10440; Cass., sez. 17/02/2016, n. 3087), i Giudici di legittimità hanno individuato il discrimen tra spese di rappresentanza e di pubblicità nell’obiettivo sotteso al sostenimento del costo: “le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l'informazione ai consumatori circa l'esistenza di tali beni e servizi, unitamente all'evidenziazione e all'esaltazione delle loro caratteristiche e dell'idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite”. Spiega quindi la Cassazione che se, in termini generali, le sponsorizzazioni costituiscono spese di rappresentanza ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile un ritorno commerciale[1], appare evidente come l’art. 90, comma 8, L. 289 del 2002 introduca, in favore del soggetto erogante, una “presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese”. Coerentemente con precedenti arresti giurisprudenziali richiamati dalla Suprema Corte[2], tale presunzione estrinseca la propria efficacia a condizione che “a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale […] senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori”. Inoltre, secondo il Supremo Consesso, alla norma in commento deve riconoscersi una natura prettamente agevolativa finalizzata a favorire, tramite l’incentivo fiscale, il finanziamento delle attività sportive amatoriali alle quali è attribuito un ruolo di utilità sociale. Vale a dire che, “in forza della sua natura agevolativa”, la norma “fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive […] e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor”. La tesi dell’Amministrazione finanziaria – fondata sulla necessità di valutare l’inerenza del costo dell’iniziativa pubblicitaria e l’idoneità della stessa a veicolare il messaggio proprio alla clientela dell’impresa sponsorizzante – contrasta quindi non solo con la finalità agevolativa recata dalla disciplina di cui all’ art. 90, comma 8, L. 289 del 2002, ma anche con la corretta declinazione del concetto stesso di inerenza[3]. G.P. [1] Le spese di rappresentanza, a differenza di quelle di pubblicità che sono integralmente deducibili, possono dunque essere dedotte in nei limiti della relativa disciplina fiscale. [2] Cfr. Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14232; Cass., sez.6-5, 6/04/2017, n. 8981; Cass., sez. 6-5, 21/03/2017, n. 7202; Cass., sez. 6-5, 19/01/2018, n. 1420; Cass., sez. 6-5, 30/05/2018, n. 13508, nonché Cass., sez. 6-5, 26/09/2018, n. 22855; Cass., sez. 6-5, 6/05/2020, n. 8540. [3] Il quale, come puntualmente precisato dalla Corte, deve essere assunto in termini qualitativi e non già quantitativi (Cfr. Cass., sez. 5, 20/12/2018, n. 33030; Cass., sez. 5, 16/12/2019, n. 33120; Cass., sez. 5, 4/03/2020, n. 6017).