Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”. *** Con la sentenza n. 29443/2025, depositata lo scorso 29 agosto, la terza sezione penale della Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi su un caso di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, torna sulla nozione di “atto fraudolento” prevista dall’art. 11 D.lgs. 74/2000, fornendo interessanti indicazioni in merito all’ambito di applicabilità della fattispecie di reato. Nel caso all’attenzione dei giudici, la società immobiliare, al momento della costituzione avvenuta nel 2017, vedeva come soci al 30% l’imputato, al 30% la di lui moglie e al restante 40% il figlio della coppia. Nella società veniva conferito come unico cespite un immobile di proprietà dell’imputato. Nell’agosto 2018, l’imputato aveva ricevuto avvisi di pagamento per mancata corresponsione delle imposte relative agli anni 2013-2014 e, successivamente, nel maggio 2019 aveva ceduto il 29% delle sue quote societarie al figlio, rimanendo amministratore della società e socio all’1%. Secondo i giudici di merito, la condotta descritta era idonea ad integrare il delitto di cui all’art. 11 D.lgs. 74/00 e, perciò, la sentenza di condanna pronunciata in primo grado era stata confermata in appello. Avverso tale decisione, l’imputato ha ricorso in Cassazione sostenendo l’erronea applicazione della norma da parte della Corte d’Appello per aver ritenuto che la cessione da parte dell’imputato al figlio del 29% della propria quota societaria avesse natura fraudolenta. Secondo il ricorrente, infatti, la decisione contrasterebbe con il dictum delle Sezioni Unite n. 12213/2018, che hanno affermato che non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto ad ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’erario, essendo necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta. Nel rigettare per manifesta infondatezza tale motivo di ricorso, i giudici di legittimità offrono un’interessante disamina della fattispecie contestata, ricordando, innanzitutto, che attraverso l’incriminazione della condotta prevista dall’art. 11 “il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’erario”. La giurisprudenza, si aggiunge, è ormai consolidata nel ritenere la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame. Per quanto concerne il concetto di “altri atti fraudolenti”, alternativi alla diversa condotta di alienazione simulata prevista dalla norma, la Corte precisa che devono considerarsi compresi sia gli atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni, sia gli atti giuridici diretti, alla luce di una valutazione degli elementi concreti, a sottrarre beni al pagamento delle imposte. Con particolare riferimento all’alienazione di beni, la giurisprudenza ha affermato che “gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei a escludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione”. Secondo il Collegio, nel caso di specie la Corte d’Appello avrebbe logicamente e correttamente argomentato in merito alla natura fraudolenta della cessione di quote effettuata dal padre in favore del figlio, sottolineandone l’idoneità a rendere difficoltosa o a impedire la procedura di riscossione coattiva del debito ormai prevedibile a seguito dell’accertamento dell’Erario notificatogli pochi mesi prima.