Truffa aggravata e reati fiscali, prevale il principio di specialità (Cass. pen, Sez. II., sent. 11 luglio 2025, n. 27820)

6 Agosto 2025

Abstract

La Corte di cassazione ha stabilito che tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode (artt. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000) e il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, co. 2, n. 1 c.p.) è configurabile un rapporto di specialità. La condotta fraudolenta volta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno della cornice normativa speciale, salvo che dalla medesima condotta derivi un profitto ulteriore, come l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

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Con la sentenza n. 27820 del 2025, la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione interviene nuovamente sulla delicata questione del rapporto tra i reati tributari e la truffa aggravata ai danni dello Stato, riaffermando un principio di specialità sistemica già enunciato dalle Sezioni Unite (sent. n. 1235/2011) secondo cui ogni condotta fraudolenta volta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale nel perimetro della legislazione speciale dettata dal D.Lgs. n. 74/2000, salvo che non produca un profitto ulteriore, estraneo al rapporto tributario, come l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

La vicenda giudiziaria trae origine da un sequestro preventivo di somme ottenute tramite un’indebita richiesta di rimborso IRPEF, attuata attraverso la falsa rappresentazione di spese nel modello 730. Al contribuente era stata sequestrata solo una quota pari al 60% dell’indebito rimborso (corrispondente alla sua presunta partecipazione al profitto), il restante 40% essendo confluito, secondo la ricostruzione operata dall’accusa, ai sodali di un’organizzazione criminale che aveva architettato una frode sistemica.

Il Tribunale del riesame aveva annullato il sequestro, qualificando la condotta ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele), ritenendo assente sia il superamento della soglia di punibilità sia un profitto ulteriore rispetto al mero vantaggio fiscale. Tuttavia, il P.M. interponeva ricorso tendente a riqualificare i fatti in termini di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, co. 2, n. 1 c.p., valorizzando la pluralità di condotte decettive quali l’utilizzo di credenziali illecite, la creazione di falsi CAF, l’inserimento strategico di dati e il contenimento del rimborso al di sotto della soglia prevista per l’attivazione delle procedure automatiche di controllo, al fine di eludere le verifiche.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso riaffermando il principio per cui, in assenza di un profitto diverso e autonomo rispetto all’evasione fiscale, non è ammissibile invocare l’applicazione della norma generale (ossia l’art. 640 c.p.) al fine di superare il quadro sanzionatorio previsto dalla normativa speciale contenuta nel D.Lgs. 74/2000. In tal senso, la Corte riconosce l’esistenza di un contesto associativo e criminale, ma esclude che ciò basti a giustificare la qualificazione come truffa aggravata in assenza di un quid pluris inteso come profitto ulteriore. In altri termini, l’esistenza di una rete organizzata (che può configurare un’associazione per delinquere o concorrere nella rilevanza penale delle singole condotte) non è suscettibile ex se si trasformare una dichiarazione infedele in una truffa, in assenza di ulteriori vantaggi economici diversi dall’illegittimo risparmio fiscale.

Viene così riaffermata l’autosufficienza del sistema penale tributario, ogni pretesa punitiva esaurendosi nel perimetro sistemico del D.Lgs. 74/2000, che assorbe le condotte preparatorie e decettive non incidenti direttamente sull’offesa erariale.

F.N.

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