Abstract La Corte di cassazione ha confermato la legittimità della previsione di irretroattività delle sanzioni tributarie più favorevoli introdotte dal D.Lgs. n. 87/2024, ritenendo infondata la doglianza della società contribuente che ne chiedeva l’applicazione retroattiva in forza del favor rei. Ha ribadito che la lex mitior trova fondamento nell’art. 3 Cost. come principio di ragionevolezza e si estende alle sanzioni amministrative punitive solo in presenza di specifico vincolo convenzionale. La disciplina europea e la giurisprudenza CEDU consentono deroghe per esigenze di ordine pubblico e finanza. In questo caso, la riforma organica giustifica la deroga per motivi di sistema e bilancio pubblico. *** La vicenda oggetto della pronuncia trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società per azioni in relazione alla contestata indebita detrazione dell’IVA per un importo pari a circa 100mila euro. La società ha ritualmente impugnato il provvedimento eccependo, per quanto qui di interesse, l’illegittimità delle sanzioni irrogate per violazione del principio di retroattività della lex mitior, sostenendo che trovava viceversa applicazione la disciplina più favorevole introdotta dal D.Lgs. n. 87/2024 in attuazione dei profili sanzionatori delineati dalla riforma fiscale. In particolare, la ricorrente ha dedotto in giudizio che la novella legislativa, intervenuta a riformare complessivamente il sistema sanzionatorio tributario in senso più favorevole nei riguardi del contribuente, avrebbe dovuto trovare applicazione retroattiva in ossequio al principio del favor rei, quale espressione di un diritto fondamentale tutelato sia dall’ordinamento interno, ai sensi dell’art. 3 Cost., sia dall’ordinamento unionale e convenzionale (art. 7 CEDU). La Corte di cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondata tale doglianza, richiamando un articolato percorso argomentativo incentrato sulla ricostruzione del fondamento costituzionale e convenzionale del principio della lex mitior, con specifico riferimento alla sua estensione alle sanzioni amministrative di carattere punitivo. I giudici di legittimità hanno infatti richiamato l’insegnamento della Corte costituzionale, che ha chiarito come il principio di retroattività della legge più favorevole trovi copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., quale canone di ragionevolezza, e si applichi anche alle sanzioni amministrative che presentino natura e funzione sostanzialmente punitive, alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cd. criteri Engel). Tuttavia, la Consulta ha anche evidenziato che, in assenza di uno specifico vincolo convenzionale che imponga agli Stati membri l’introduzione generalizzata del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative, occorre procedere a una valutazione caso per caso, verificando la natura effettivamente punitiva della singola sanzione. Sul piano unionale, la Corte di Giustizia (C-107/2023, Lin) ha confermato che, a differenza del principio di legalità, quello della retroattività della legge più mite può subire deroghe in virtù di un bilanciamento con altri interessi di pari rango, come l’esigenza di garantire un sistema sanzionatorio effettivo contro le frodi gravi lesive degli interessi finanziari dell’Unione. Ciò premesso, nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittima la previsione di irretroattività delle sanzioni più favorevoli disposta dall’art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 87/2024, sottolineando che tale scelta “si colloca in un contesto che accompagna la rimeditazione dell’intero sistema sanzionatorio, sul piano qualitativo e quantitativo”, vale a dire in più ampio intervento di riforma organica del sistema, volto non solo a ridurre l’entità delle sanzioni ma a rimodulare la funzione stessa della risposta sanzionatoria, in coerenza con i principi di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente sanciti dalla legge delega. Secondo la Corte, la disciplina in esame riflette un bilanciamento ragionevole tra la garanzia del favor rei e altri valori costituzionali di pari rango, tra cui la tutela dell’equilibrio di bilancio pubblico previsto dall’art. 97 Cost. e la salvaguardia di risorse necessarie a garantire prestazioni costituzionalmente protette quali sanità, istruzione e sicurezza pubblica. L’irretroattività della legge più favorevole, pertanto, non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., né con il diritto dell’Unione europea o con la CEDU, trattandosi di una deroga puntuale e giustificata da un assetto riformatore di sistema, la cui attuazione impone un differimento temporale anche per la piena operatività della nuova disciplina. In tal senso, “[u]na riforma del sistema tributario, nel quale la previsione di un minor carico sanzionatorio si relaziona a una modifica radicale del rapporto tra fisco e contribuente, giustifica una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dagli artt. 3 e 53 Cost. E d’altronde, che la deroga sia “pensata” con estrema ponderazione lo si rinviene nella constatazione che l’irretroattività non è coincidente con il momento di entrata in vigore della legge, ma con una data ulteriormente successiva, a comprova della necessità che anche l’attenuazione delle sanzioni necessita di una “tempo” per l’attuazione dell’intero ripensamento dell’impianto sanzionatorio. Ne discende anche che è parimenti priva di fondamento la denuncia di eccesso di delega del legislatore delegato. È proprio la complessa revisione della disciplina che in sé porta a reputare come il legislatore delegato, nella ponderazione complessiva dei valori e degli interessi di rilevanza costituzionale, abbia agito nel legittimo perimetro della delega conferita”. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, condannando parte ricorrente al pagamento delle spese di lite e del contributo unificato in misura raddoppiata. F.N.