Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”. *** La causa di non punibilità di cui all’art. 13 D.lgs. 74/2000 opera anche quando la somma versata all’Erario prima dell’apertura del dibattimento non corrisponde all’importo totale originariamente accertato ed oggetto di contestazione in sede penale, ma ad un importo (anche considerevolmente) inferiore, rideterminato nell’ambito di un accordo con l’amministrazione finanziaria intervenuto nella procedura di ristrutturazione del debito. Il principio, espresso dal Tribunale di Lecco nel procedimento che vedeva imputati i due amministratori (di diritto e di fatto) di una società per azioni in ragione dell’omesso versamento dell’IVA per tre annualità, rappresenta un’interpretazione innovativa della legge, che apre al riconoscimento dell’incidenza, anche in sede penale, degli accordi stipulati con l’Agenzia delle Entrate. Nel caso di specie, la società in crisi aveva avviato, in epoca antecedente all’inizio del processo, il percorso di ristrutturazione del debito disciplinato dall’art. 182-bis L.F. (ora art. 57 CCII), così addivenendo ad un accordo con l’Erario grazie al quale il debito IVA originariamente dovuto (pari a quasi 4 milioni di Euro) era stato ridotto fino al 22% del valore iniziale. Prima dell’apertura del dibattimento, il debito tributario, seppure nella sua misura ridotta, era stato integralmente corrisposto all’amministrazione, le cui pretese potevano dunque ritenersi soddisfatte. Sposando la tesi difensiva, il Tribunale di Lecco ha riconosciuto nel versamento della somma ridotta la piena soddisfazione della finalità perseguita dall’art. 13 D.lgs. 74/00, ovvero quella di favorire il recupero degli importi da parte dell’Erario premiando coloro che dimostrano di voler collaborare. L’apertura al riconoscimento dell’incidenza in sede penale dell’accordo intervenuto tra le parti nell’ambito della ristrutturazione del debito rappresenta un importante, precedente potenzialmente rilevante per molte aziende italiane. Infatti, le imprese che si trovano in condizioni di crisi e hanno integrato un reato omissivo potrebbero avvalersi degli strumenti messi a disposizione dal Codice della crisi per beneficiare di una rilevante riduzione del debito erariale, trovandosi perciò nelle condizioni di poter adempiere entro il dibattimento e così evitare le conseguenze penali delle omissioni. La decisione assunta dal Tribunale di Lecco fonda le sue basi su alcuni principi già in precedenza espressi dalla Cassazione in materia di esecuzione della confisca ex art. 12-bis D.lgs. 74/00, che sono stati estensivamente applicati dal Giudice lecchese per decidere il caso sottoposto al suo vaglio. In particolare, nella recente sentenza n. 44519/2024, la terza sezione della Corte aveva accolto la richiesta di riduzione dell’importo da sottoporre a confisca quale profitto del reato di cui all’art. 10-ter D.lgs. 74/00, essendo intervenuto dopo la condanna un accordo di ristrutturazione del debito tributario che ne aveva rideterminato il quantum al 15% rispetto all’importo originario. Merita in questa sede richiamare alcuni passaggi del ragionamento formulato dai giudici di legittimità nella sentenza richiamata, vista la loro rilevanza ai fini della comprensione del sostrato giuridico che ha sorretto anche la decisione del Tribunale di Lecco. La Corte sottolineava, innanzitutto, che l’accordo con l’Amministrazione finanziaria non potesse ritenersi produttivo di effetti solo in ambito amministrativo, dovendo riconoscersi la sua portata incisiva per la determinazione dell’imposta evasa anche in ambito penale e, quindi, la sua incidenza sul quantum del profitto del reato confiscabile. Con l’accordo di ristrutturazione del debito il creditore effettua, infatti, una concessione al debitore in considerazione delle difficoltà finanziarie e dello stato di crisi in cui lo stesso si trova, che si sostanzia nella rinuncia ad alcuni diritti (in particolare, alla riscossione della totalità del credito). Tale accordo, quando intervenuto con l’Amministrazione finanziaria sotto forma di transazione fiscale ex art. 182-ter L.F., incide direttamente sull’entità del debito erariale, che subisce una modifica quantitativa, incidendo, di conseguenza, anche sul profitto del reato e, con esso, sulla somma da assoggettare a confisca. La confisca, infatti, non può che corrispondere al profitto del reato, sicché se, in forza di un accordo di ristrutturazione del debito, questo viene rideterminato, non può essere mantenuta la confisca nel suo quantum originario, pena la violazione del principio di proporzionalità. “Ragionando a contrario, – osserva la Corte – verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa”. Un’altra recente pronuncia della Suprema Corte parimenti rilevante ai fini del presente contributo è la n. 1237 del 2024, che ha avuto ad oggetto i temi della rilevanza dell’omologazione del concordato preventivo ai fini della configurabilità e punibilità del reato di cui all’art. 10-bis D.lgs. 74/00, nonché della determinazione del profitto in tal caso confiscabile e dell’applicazione e mantenimento del sequestro strumentale alla confisca di tale profitto. Quanto al primo tema, la Cassazione ha affermato che l’omologazione del concordato esclude il reato omissivo solo se intervenuta prima della data di scadenza dei termini per il versamento delle ritenute. Quanto al secondo tema la Cassazione ha affermato l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13 nel caso in cui all’omologa faccia seguito, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’integrale pagamento dell’importo così come rideterminato nell’atto omologato. Posto, infatti, che il concordato preventivo omologato ha efficacia liberatoria per l’imprenditore nei confronti di tutti i creditori, e quindi anche dell’Amministrazione finanziaria, non sembra coerente ritenere lo stesso irrilevante ai fini dell’integrazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000. La causa di non punibilità in parola, infatti, “risponde all’esigenza di assicurare un’efficace attività di riscossione da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché allo scopo pratico di incentivare la definizione delle pendenze con il Fisco mediante adempimento volontario di quanto dovuto”. L’opzione ermeneutica alla quale ha aderito la giurisprudenza richiamata non risulta in contrasto con il dato letterale dell’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 74/00, che infatti non sembra richiedere l’integrale pagamento del debito, senza alcuna possibilità di “riduzione” degli importi da versare. Nota a tal proposito la Cassazione che, se il legislatore avesse voluto escludere qualunque possibilità di “ridefinizione” e “riduzione” degli importi da versare, si sarebbe limitato a richiedere l’integrale pagamento del debito, senza aggiungere la specificazione relativa agli “importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso“. In conclusione, la recente evoluzione giurisprudenziale sul punto, sfociata nella sentenza del Tribunale di Lecco, dimostra la tendenza crescente all’adozione di interpretazioni favorevoli al contribuente, volte ad evitare la duplicazione delle sanzioni e una sproporzionata repressione delle condotte che integrano, contemporaneamente, violazioni di natura penale e tributaria.