CEDU, la normativa italiana in materia di accessi e ispezioni fiscali viola la Convenzione

17 Aprile 2025


Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”.

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Con la sentenza resa il 6 febbraio 2025 all’esito del giudizio Italgomme Pneumatici s.r.l. e altri c. Italia, la Prima Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul delicato tema dell’accesso e delle ispezioni condotte presso locali commerciali, sedi legali o locali adibiti ad attività professionali, nonché dell’esame e del sequestro (o copia, ove si tratti di documentazione in formato digitale) delle scritture contabili e di altri documenti rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale operati ai sensi degli artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 633/1972.

In particolare, i ricorrenti, invocando l’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, hanno lamentato la portata eccessivamente ampia del potere discrezionale conferito alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate dalla legislazione nazionale, nonché la mancanza di sufficienti garanzie procedurali in grado di tutelare i contribuenti da eventuali abusi o arbitrarietà.

Nel caso di specie, le autorizzazioni a effettuare le verifiche fiscali sono state rilasciate dal “capo locale” dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza ai sensi dell’articolo 52 co. 1 del d.P.R. n. 633/1972 e dell’articolo 33 co. 1 del d.P.R. n. 600/1973. Le predette verifiche avevano ad oggetto anche scritture extracontabili, quali registrazioni relative a transazioni, attività o passività che non figuravano nelle dichiarazioni ufficiali.

La Corte ha dunque focalizzato la propria attenzione sul tema degli accessi e delle ispezioni nei locali commerciali e professionali dei ricorrenti, valutando la conformità di tali misure con l’articolo 8 della Convenzione, volto a tutelare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.

La Corte ha in primo luogo rilevato che il quadro normativo italiano conferisce alle autorità fiscali e alla Guardia di Finanza un potere discrezionale molto ampio per quanto riguarda l’accesso presso i locali commerciali e professionali e le relative ispezioni. I giudici hanno evidenziato che gli articoli 51 e 52 del d.P.R. n. 633/1972 e gli articoli 32 e 33 del d.P.R. n. 600/1973 autorizzano l’Amministrazione a effettuare ispezioni e verifiche senza richiedere una giustificazione specifica o una preventiva autorizzazione giudiziaria.

Da ciò, la Corte ha inferito la carenza di sufficienti garanzie procedurali, posto che le autorizzazioni agli accessi ed alle ispezioni (come altresì statuito dalle pronunce della Corte di cassazione richiamate dalla CEDU) non richiedono una motivazione specifica e non sono soggette a un controllo giudiziario o indipendente ex ante. Né tantomeno le misure contestate sono state sottoposte a un controllo giurisdizionale effettivo ex post, vale a dire a un successivo controllo da parte di un organo giurisdizionale indipendente finalizzato a verificarne la legittimità e la proporzionalità, con ulteriori effetti sfavorevoli per il contribuente in termini di carenza di tutele contro eventuali abusi o arbitrarietà.

Fatte queste premesse, pertanto, il Collegio ha concluso nel senso che l’assetto normativo italiano è inidoneo a soddisfare i requisiti imposti dall’articolo 8 della Convenzione, atteso che l’ampia discrezionalità conferita alle autorità nazionali e le connesse carenze in punto di garanzie procedurali palesano caratteri di potenziale lesività del diritto al rispetto del domicilio. Nello specifico, “[…] la Corte non è convinta che il quadro giuridico nazionale abbia fornito garanzie adeguate ed efficaci contro l’esercizio di una discrezionalità illimitata da parte dell’Autorità fiscale e della Guardia di Finanza, dal momento che, in relazione agli accessi e alle ispezioni, non è stato regolamentato il loro potere di valutare l’adeguatezza, il numero, la durata e la portata di tali operazioni e delle informazioni richieste ai contribuenti e poi copiate o sequestrate. In questo contesto, la Corte ritiene che le condizioni previste dalla legge appaiano troppo permissive per delimitare sufficientemente tale discrezionalità”. 

Ne consegue, secondo la CEDU, che l’attività del legislatore italiano dovrebbe essere orientata all’adozione di misure volte a dare concretezza a un effettivo adeguamento della legislazione e della prassi ai principi della Convenzione e alla giurisprudenza della Corte, indicando con chiarezza le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a svolgere verifiche in loco e controlli fiscali e prevedendo idonee garanzie procedurali tese a tutelare adeguatamente i contribuenti da abusi e arbitrarietà.

Gli effetti della decisione in esame sono destinati a riflettersi anche in campo penale. Basti considerare, infatti, che la maggior parte dei procedimenti per reati tributari si fonda sugli elementi emersi nel corso delle ispezioni tributarie e che, nell’ambito di quei procedimenti, il processo verbale viene il più delle volte acquisito in sede dibattimentale come prova documentale.

Sarà dunque interessante monitorare gli eventuali futuri interventi del legislatore italiano, in risposta al monito della CEDU, per comprenderne le effettive ricadute sui diritti del contribuente in entrambi gli ambiti di rilevanza fiscale e penale.

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