Istanza di rimborso dell’IVA non dovuta, profili di criticità della posizione erariale 

18 Marzo 2024

In tema di applicabilità dell’art. 30­ter d.P.R. n. 633/1972, la risposta a interpello n 66/2024 ha ribadito che abilitato a chiedere in via diretta all’Erario il rimborso dell’IVA indebitamente corrisposta è il solo soggetto passivo d’imposta. Viceversa, il soggetto obbligato in rivalsa può rivolgersi esclusivamente al cedente/prestatore al fine di ottenere la restituzione dell’IVA non dovuta per via civilistica, anche mediante insinuazione tardiva al passivo fallimentare. La posizione dell’Agenzia delle Entrate, tuttavia, è connotata da una rigidità che non tiene conto dei principi sanciti dalla giurisprudenza unionale con riferimento a situazioni come quelle di comprovata insolvenza del partner commerciale.

La risposta a interpello n 66/2024. Caso e soluzione interpretativa proposta.

La risposta a interpello n 66 dell’11 marzo 2024 ha ribadito l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate secondo cui, in caso di riqualificazione di un contratto di appalto in contratto di somministrazione di lavoro, il soggetto obbligato in rivalsa ha esclusivamente la possibilità di chiedere il rimborso dell’IVA non dovuta al cedente/prestatore in via civilistica, altresì mediante l’insinuazione (sia pure tardiva) al passivo fallimentare del medesimo, essendogli interdetto lo strumento della richiesta di rimborso in via diretta all’Erario ai sensi dell’art. 30-ter d.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA).

In sede di interpello, la società istante (committente) evidenziava di essersi avvalsa dei servizi di logistica integrata e facchinaggio forniti da una società cooperativa (il prestatore) nell’ambito di un rapporto svolto in regime di appalto, con applicazione dell’IVA ad aliquota ordinaria.

La società appaltatrice aveva registrato regolarmente le fatture emesse alla committente, provvedendo alle liquidazioni e ai relativi versamenti di imposta. Ciononostante, all’esito di una verifica avviata dall’Agenzia delle Entrate – impregiudicate l’inerenza all’attività d’impresa e l’effettività del rapporto e dei servizi resi (esclusa, quindi, qualsiasi contestazione di frode) – il rapporto intercorso tra le parti era stato riqualificato in “contratto di somministrazione lavoro”, con la conseguenza della non assoggettabilità a IVA delle fatture emesse e della relativa indetraibilità dell’imposta indebitamente versata.

La cooperativa, medio tempore assoggettata a procedura concorsuale e non più operativa, non riceveva alcun accertamento: pertanto, incisa e sanzionata per i predetti rilievi restava unicamente la società committente. Quest’ultima, pur non condividendo i rilievi avanzati dall’Ufficio, riteneva (evidentemente sulla scorta di valutazioni di opportunità economica) di aderire alla c.d. tregua fiscale prevista dalla L. n. 197/2022, versando le somme accertate corrispondenti all’IVA esposta in fattura.

Ciò premesso, la società istante sosteneva di aver diritto a presentare all’Erario in via diretta istanza di rimborso ai sensi dell’art. 30-ter del Decreto IVA, atteso che la cooperativa “soggetta a procedura concorsuale, non emetterà alcuna nota di variazione, né rimborserà all'istante l’IVA a suo tempo corrisposta”. L’istante, infatti, riteneva di essere de facto impossibilitata a esercitare rivalsa nei confronti del prestatore e, in ogni caso, a ottenere il rimborso dell’indebito per via civilistica.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate.

La Divisione Contribuenti interpellata ha ritenuto di non condividere la soluzione prospettata dalla società istante, in primo luogo effettuando un rapido excursus normativo ed evidenziando che il citato art. 30-ter contempla due ipotesi:

  • al primo comma, consente al soggetto passivo di presentare domanda di restituzione dell’IVA non dovuta entro il termine decadenziale di due anni dal versamento o, ove successivo, dal giorno in cui si è inverato il presupposto per la restituzione;
  • al secondo comma, ove l’applicazione di un’imposta non dovuta a una cessione di beni o prestazione di servizi sia stata definitivamente accertata dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni, decorrente dall’avvenuta restituzione al cessionario / committente delle somme pagate a titolo di rivalsa.

Di seguito, l’Agenzia ha inteso richiamare la precedente prassi amministrativa e la giurisprudenza, tanto interna quanto europea, secondo cui “la citata disciplina del rimborso IVA, nel rispetto della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta versata indebitamente all’erario, subordinando espressamente tale possibilità all’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura, imposta che, se indebitamente detratta, lo stesso cessionario/committente deve  aver  restituito all’erario a  seguito di un accertamento definitivo”. Pertanto, nessuna possibilità, per il committente, di presentare all’Erario istanza diretta di rimborso poiché, come affermato dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 14838/2023, unico abilitato a proporre tale istanza è il soggetto passivo d’imposta, che non coincide con l’obbligato in via di rivalsa, titolare di un rapporto meramente privatistico. Tale sistema, evidenzia l’Amministrazione, trova l’avallo della giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo il cui insegnamento un sistema come quello in cui, da un lato, il prestatore che ha erroneamente versato l’IVA è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, al destinatario dei servizi è riconosciuto il diritto di esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore, è astrattamente idoneo a rispettare i principi di neutralità ed effettività, consentendo al destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (CGUE, sentenza 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, C-35/05).

Conclude, pertanto, l’Agenzia che “[l]a richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta, ai sensi dell’articolo 30­ter del decreto IVA, può essere presentata solo dalla società cooperativa [BETA] (soggetto obbligato al pagamento dell’imposta), entro il termine decadenziale di due anni dalla restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente applicata. L’istante (soggetto obbligato in rivalsa) ha, dunque, solo la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta non dovuta al cedente/prestatore, ricorrendo, ove necessario, all’ordinaria giurisdizione civilistica mediante un’insinuazione ­ anche tardiva ­ al passivo fallimentare, non potendo ricorre ad altri istituti contemplati dalla disciplina IVA”.

Profili di criticità della posizione erariale.

Alla luce di un criterio di ragionevolezza e dello stesso principio di neutralità invocato dall’Amministrazione, non si può non riscontrare l’incongruità di una soluzione come quella adottata dall’Ufficio, specie in casi limite in cui il cessionario/committente resti definitivamente inciso dall’imposta (non dovuta) a fronte di situazioni di comprovata impossibilità di ottenere la restituzione dell’indebito per via civilistica. È, ad esempio, il caso che si verifica laddove il cedente/prestatore sia sottoposto a procedura concorsuale, analogamente a quanto occorso nella vicenda oggetto della risposta ad interpello n. 66/2024. Un approccio sostanzialistico e garantista nei riguardi delle istanze del contribuente non può trascurare il fatto che, in caso di accertata insolvenza del partner commerciale, lo stesso debba essere messo in condizioni, di là da rigide letture della norma, di recuperare quanto indebitamente corrisposto a titolo di IVA, in assenza di qualsiasi volontà decettiva concretatasi in un meccanismo fraudolento.

La stessa Corte di Giustizia ha reiteratamente statuito nel senso che, ove il rimborso divenga impossibile o eccessivamente difficile (come nelle ipotesi di insolvenza sopra accennate), gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire al destinatario ultimo dei beni o dei servizi il recupero dell’imposta indebitamente fatturata. In tal senso si è pronunciata, fra le altre, la sentenza Farkas (C-564/2015; cfr. cause riunite C-660/16, Kollroß, e C-661/16, Wirti), ma il principio era già stato affermato dalla stessa sentenza Reemtsma evocata dall’Amministrazione nella risposta a interpello esaminata, laddove faceva riferimento “segnatamente [al] caso d’insolvenza del prestatore”.

Alle stesse conclusioni, in un caso connotato da aspetti di particolare complessità, è approdata la sentenza Schüttedel 7 settembre 2023(C-453/22), che ha altresì precisato che l’ipotesi di insolvenza del fornitore “è solo una delle circostanze in cui può essere impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata”, aprendo (in maniera più esplicita rispetto al passato) alla possibilità di rimborso diretto anche in assenza di situazioni patologiche del tipo descritto.

La stessa Corte di Cassazione ha richiamato in più occasioni il principio sancito a livello di diritto vivente unionale, sia pur modulandolo con riferimento alla tipologia di rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e alla natura dei medesimi. A titolo esemplificativo, la sentenza n. 23288/2018 della Suprema Corte ha ribadito che “soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore)” (si v. Cass. n. 19837/2023, n. 35830/2022, n. 22824/2020). A tal proposito, occorre tenere presente che le ipotesi di impossibilità o eccessiva difficoltà, nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza, non sono di per sé ravvisabili per il fatto che la natura indebita del pagamento dell’imposta discenda dalla contrarietà di una norma nazionale a una direttiva, ma sono sempre e comunque correlate alle circostanze in cui versa in concreto il soggetto passivo (ad esempio il prestatore di servizi sottoposto a procedura concorsuale, come nel caso della risposta a interpello qui esaminata).

F.N.

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