Deducibili i costi riferibili all’attività di Influencer

22 Febbraio 2024

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, con la recente sentenza n. 468 depositata il 12 febbraio 2024 ha ritenuto deducibili, seppure limitatamente, i costi sostenuti da un’Influencer connessi allo svolgimento della propria attività. In proposito, il Giudice adito ha riconosciuto come l’acquisto di vestiario di vario genere sia una condizione strettamente collegata con l’attività svolta e ne rappresenti il necessario presupposto di modo che va ritenuto inerente alla particolare attività professionale svolta.

Il caso

La contribuente, fashion editor di fama mondiale riconosciuta anche come riferimento della moda a livello internazionale e icona di stile, ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale II di Milano con cui è stata accertata una maggiore Irpef per l’anno di imposta 2015 a seguito della contestata indeducibilità di costi per carenza del requisito di inerenza. Per le stesse ragioni è stata ritenuta indetraibile la relativa IVA.

In particolare, i costi oggetto di ripresa si riferiscono all’acquisto di beni di consumo, a spese amministrative per pratiche auto, a spese di viaggio e a spese per servizi.

Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente ha sostenuto l’illegittimità e l’infondatezza dell’atto impositivo per difetto di motivazione e per mancanza del contraddittorio preventivo, con particolare riferimento all’IVA per il quale la contribuente ha indicato le ragioni che avrebbe potuto far valere nella sede amministrativa. Ha rilevato altresì l’infondatezza nel merito delle riprese per la sussistenza di componenti negativi del reddito professionale, rappresentati per lo più da beni di consumo (capi di abbigliamento firmati, gioielli, accessori, ecc.). Ha sostenuto infine la corretta deduzione di costi connessi a spese di viaggio e pratiche auto, quali spese imprescindibili per lo svolgimento della propria attività.

La CTP di Milano ha rigettato il ricorso rilevando in particolare la mancanza di una prova specifica in ordine all’inerenza delle spese dedotte, in modo che le stesse potessero effettivamente considerarsi quali spese sostenute nell’esercizio dell’attività professionale ai sensi dell’art. 54 del TUIR.

Allo stesso modo, non era stata fornita evidenza – secondo i Giudici di prime cure – della circostanza che, a fronte della partecipazione ad eventi o a riprese fotografiche, la ricorrente fosse tenuta ad acquistare di tasca propria i capi di vestiario impiegati. Le medesime considerazioni rendevano indetraibile l’IVA, ai sensi dell’art. 29 de DPR n. 633/1972, non essendo stata fornita la prova che le spese sostenute fossero riconducibili a beni o servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa o della professione.

Con il proprio atto d’appello la contribuente ha impugnato la decisione della CTP, ribadendo le ragioni dedotte nel corso del primo grado di giudizio. Al riguardo, ha rilevato che per il tipo di attività svolta la sua immagine ne rappresentava l’essenza con la conseguenza che l’acquisto di abiti particolari costituiva un elemento essenziale ed imprescindibile del proprio lavoro. Anche per i viaggi valevano le medesime considerazioni quali elementi caratterizzante la propria attività, sussistendo perciò le condizioni per poter dedurre i relativi costi. In mancanza, si sarebbe verificata una situazione paradossale, con un’attività totalmente priva di spese.

La decisione

Il Giudice di appello ha ritenuto di accogliere parzialmente il ricorso proposto dalla contribuente con conseguente riforma della sentenza impugnata.

La CGT di secondo grado della Lombardia, nel ritenere infondate le questioni pregiudiziali, ha accolto l’appello con riferimento alla deducibilità dei costi per il vestiario. Il Giudice, al riguardo, ha precisato che gli stessi rappresentano una condizione strettamente collegata con l’attività svolta e ne rappresentano il necessario presupposto, dovendosi pertanto ritenere inerenti alla particolare attività professionale svolta.

Ciò in quanto, richiamando la recente pronuncia della Suprema Corte, “in tema di imposte sui redditi d’impresa, il principio di inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività di impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, di modo che vanno esclusi soltanto i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea. Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza”[1].

Nel caso di specie, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia ha ritenuto tuttavia non adeguatamente provato l’uso esclusivo dei capi di abbigliamento acquistati in collegamento agli specifici eventi, ritenendo corretto presumerne l’uso promiscuo con una percentuale di deducibilità del 50%.

Anche per le spese dei viaggi, per le spese amministrative e per i servizi non sarebbe stata provata la riconducibilità delle stesse all’attività svolta, con la conseguenza che non sono state riconosciute come inerenti dal Giudice d’appello.

Le sanzioni, sulla scorta di quanto disposto, sono state rimodulate in rapporto al parziale accoglimento dell’appello.

F.D.D.


[1] Cass. n. 27786/2018.

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