Extraprofitti 2023, la parola alla Consulta

25 Gennaio 2024

Il TAR Lazio ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 1, commi da 115 a 119, della L. n. 197/2022, che ha introdotto il discusso contributo di solidarietà straordinario sugli extraprofitti derivanti da attività svolte nel settore energetico. In questa sede verrà commentata l’ordinanza n. 767/2024 del 16 gennaio scorso, che ha suscitato ampio interesse tra gli operatori di settore, aprendo il fronte della tenuta costituzionale di una disposizione connotata da considerevoli profili di incertezza destinati ad alimentare il contenzioso.

La parola alla Consulta sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 115 a 119, della L. n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), norma che ha introdotto il discusso contributo di solidarietà straordinario sugli extraprofitti derivanti da attività svolte nel settore energetico.

È questa la decisione del TAR Lazio che, con una pluralità di statuizioni (tra le quali, in questa sede, verrà esaminata l’ordinanza n. 767/2024 del 16 gennaio scorso) che hanno suscitato ampio interesse tra gli operatori di settore, ha aperto il fronte della tenuta costituzionale di una disposizione connotata da considerevoli profili di incertezza destinati ad alimentare il contenzioso.

Il quadro normativo europeo ed interno.

Il Regolamento (UE) 2022/1854 ha previsto l’introduzione, a livello unionale, di un contributo di solidarietà temporaneo, quale “misura di ridistribuzione grazie alla quale le imprese interessate contribuiscono ad attenuare la crisi energetica nel mercato interno proporzionalmente agli utili eccedenti che hanno realizzato in conseguenza delle circostanze impreviste”. Proponendosi il fine solidaristico di attenuare gli effetti dell’impennata dei prezzi verificatasi in conseguenza della crisi russo-ucraina, il Consiglio ha inteso prevedere misure volte a ridurre la domanda di energia elettrica e a distribuire a famiglie e imprese i ricavi e i profitti eccedenti del settore dell’energia, tra cui un contributo straordinario parametrato agli «utili eccedenti» direttamente derivanti dall’anomalo incremento dei prezzi sui mercati energetici.

Il Regolamento ha inoltre previsto la possibilità, per gli Stati membri, di introdurre entro la fine del 2022 misure nazionali equivalenti, idonee a contribuire all’accessibilità economica dell’energia (art. 2, punto 21, e art. 14).

In questa cornice si inscrive il citato art. 1 della Legge di Bilancio 2023, che ai commi da 115 a 119 ha introdotto, quale misura interna (asseritamente) equivalente a quella prevista dal Regolamento, un contributo di solidarietà temporaneo avente natura eccezionale, circoscritto al periodo d’imposta 2023, “per i soggetti che producono, importano, distribuiscono o vendono energia elettrica, gas naturale o prodotti petroliferi al fine di contenere gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico per le imprese e i consumatori” (cfr. Relazione illustrativa). In altre parole, sotto il profilo soggettivo, il contributo introdotto dal nostro legislatore investirebbe pressoché l’intera filiera energetica, a differenza – come si avrà modo di vedere nel prosieguo – della “equivalente” misura adottata a livello europeo.

Il contributo è dovuto dai soggetti IRES di cui all’art. 73, lett. a), b) e d), del TUIR se almeno il 75% dei ricavi del periodo d’imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 deriva dall’esercizio delle attività sopra elencate. In tal senso l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 4/E/2023, ha inteso escludere la riconducibilità del contributo nell’alveo delle imposte sui redditi, chiarendo che i soggetti passivi individuati dalla norma “sono tenuti al pagamento del contributo se, nel periodo d’imposta precedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 (periodo d’imposta 2022) [...] l’ammontare dei ricavi conseguiti dalle sopra indicate attività è pari ad almeno il 75 per cento dell’ammontare complessivo annuo dei ricavi di cui all’articolo 85 del TUIR”.

Il calcolo, piuttosto macchinoso, della base imponibile del contributo si compone di tre passaggi:

  • si determina la media del reddito, al lordo delle perdite pregresse e della deduzione Ace, realizzato nei quattro esercizi 2018-2019-2020-2021 assumendo (per le società che non hanno optato per la trasparenza) il dato riportato al rigo RF63 del modello redditi;
  • si calcola il 10% della suddetta media quadriennale;
  • si somma la media di cui al punto (i) come sopra definita con il 10% del punto (ii), per poi sottrarre dal reddito (sempre al lordo delle perdite e dell’Ace) realizzato nell’esercizio 2022 l’importo di cui al punto (iii), così ottenendo la media maggiorata del 10%: se la media quadriennale è negativa (da assumere pari a zero) la base imponibile è data semplicemente dal reddito del 2022.

La base imponibile così determinata sconta un’aliquota pari al 50%. Il risultato ottenuto dev’essere, poi, confrontato con il tetto dato dal 25% del valore del patrimonio netto alla data di chiusura dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022: il contributo di solidarietà sarà, dunque, pari al minore tra i valori confrontati.

La decisione del TAR Lazio.

Ripercorse brevemente genesi e ratio della disciplina, è ora possibile affrontare la disamina dell’ordinanza n. 767/2024 del TAR Lazio, Sezione Seconda Ter, depositata lo scorso 16 gennaio.

Oggetto di impugnazione, da parte di un noto operatore del settore energetico, una serie di provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate: segnatamente, la circolare n. 4/E del 23 febbraio 2023, la risoluzione n. 15/E del 14 marzo 2023 e il provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. n. 55523/2023 del 28 febbraio 2023, nonché “ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, anche non conosciuto dalla ricorrente”.

Il ricorso è affidato a plurimi motivi di doglianza e profila violazioni potenziali di principi cardine del sistema unionale suscettibili di ingenerare una questione di doppia pregiudizialità. Tuttavia, conformandosi alla recente giurisprudenza costituzionale (Corte cost. sent. 269/2017) il Giudice amministrativo ha ritenuto di sollevare questione di illegittimità costituzionale, rivolgendosi alla Consulta anziché alla Corte di Lussemburgo, in quanto “un eventuale rinvio della medesima questione alla Corte di giustizia dell’UE sarebbe inutile, qualora la Corte costituzionale dovesse accogliere la questione di costituzionalità delle norme censurate”. E d’altra parte è la stessa Corte di giustizia ad affermare, a determinate condizioni, il generale carattere non ostativo del diritto dell’Unione rispetto alla prioritarietà del giudizio di costituzionalità di competenza delle Corti nazionali.

Il vero cuore della questione, pertanto, è rappresentato dall’illegittimità derivata della norma interna per contrasto con gli articoli 3, 53 e 117 Cost. Al riguardo, il Tribunale amministrativo si è pronunciato con una motivazione articolata e dettagliata in ben 47 pagine di ordinanza, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente.

In primo luogo, il Collegio ha inteso evidenziare la natura tributaria del contributo (qualificato come “imposta (indiretta), in quanto l’obbligazione non si correla a un atto o a un’attività pubblica, ma trova il proprio presupposto esclusivamente in fatti economici posti in essere dai soggetti passivi”) e la sussistenza, sulla scia di recenti statuizioni delle Sezioni Unite (in particolare la sentenza n. 29103/2023) della propria giurisdizione in subiecta materia, essendo ammissibile una forma di tutela preventiva avverso regolamenti o atti amministrativi generali rispetto agli atti impositivi e riscossivi individuali: tutela che trova fondamento nell’art. 7, commi da 1 a 4, del Codice del processo amministrativo, nonché nell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. n. 546/1992.

L’Amministrazione convenuta ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, atteso che l’eventuale annullamento dei provvedimenti oggetto di impugnazione, meramente ripetitivi della norma istitutiva del tributo, in realtà non sarebbe idoneo a incidere sulla sussistenza di un obbligo tributario previsto dalla superiore disposizione di legge. Al riguardo, il Collegio ha ritenuto che l’istituzione dei codici tributo da parte dell’Amministrazione finanziaria determina, invero, un effetto sostanziale idoneo a riverberarsi anche sul piano processuale. Ciò in quanto, se è vero che ex art. 23 Cost. l’obbligazione tributaria è un’obbligazione legale quanto alla determinazione di presupposto, base imponibile e soggetti passivi (aspetto statico), nondimeno (sotto il profilo dinamico) atti del contribuente o dell’Amministrazione finanziaria possono indubbiamente incidere sulla sua determinazione. La concreta attuazione dell’imposta discende, in quest’ultima ipotesi, da atti ulteriori rispetto alla sua istituzione co una norma di legge: tra questi, l’istituzione dei codici tributo che, recando gli estremi identificativi dell’imposta da corrispondere, rende possibile la corretta imputazione del pagamento a quello specifico tributo e non ad altre e diverse obbligazioni cui il soggetto passivo sia astretto.

Ciò premesso, il TAR si è dilungato sui profili di non manifesta infondatezza della questione di legittimità, con una motivazione articolata e idonea a suscitare riflessioni.

In primo luogo, contrarietà all’art. 117 Cost. con riguardo ai vincoli derivanti dal Regolamento UE 1854/2022 (direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale). Il legislatore italiano, infatti, anziché adottare una misura contributiva di solidarietà a carico dello specifico settore dell’estrazione e raffinazione del petrolio o della fabbricazione di prodotti di cokeria (misura che avrebbe palesato una reale qualifica di equivalenza rispetto a quella unionale, atteso che l’art. 2, par. 1, n. 17 del Regolamento circoscrive a tali settori l’ambito di appartenenza dei soggetti passivi designati), ha viceversa ritenuto di adottare una misura “pseudo-equivalente”, estendendo illegittimamente la platea dei soggetti passivi, ricomprendendovi altresì imprese appartenenti a settori differenti. Ciò ha vanificato anche la ratio della previsione regolamentare, rispondente a criteri di armonizzazione peculiari della disciplina unionale e ad una logica ben precisa, secondo la quale i soli soggetti c.d. price makers sarebbero in grado di realizzare un extraprofitto dall’incremento anomalo dei prezzi di mercato nel settore energetico.  

Stante la rilevata natura tributaria del contributo, il Collegio ha altresì rilevato profili di indubbia violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

Con riferimento al primo, sussiste un contrasto con i principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza intesa come “congruenza delle previsioni adottate con l’obiettivo perseguito dal legislatore”.

Quanto all’art. 53 Cost., invece, è evidente la contrarietà al principio di capacità contributiva (quale specificazione del principio di uguaglianza). Richiamando la sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale, in materia di addizionale all’IRES prevista dall’art. 81, co. 16-18, del D.L. n. 112/2008, il TAR ha rammentato la necessità di improntare “il sacrificio ai principi di eguaglianza e capacità contributiva recato da un tributo speciale e selettivo” a criteri di proporzionalità. Criteri che, invero, latitano nel caso di specie, ove solo si consideri che la base di calcolo del contributo di solidarietà per il 2023 (cui è da applicare l’aliquota del 50%) è la risultante del raffronto tra reddito IRES conseguito nel 2022 (soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare) e media dei redditi complessivi IRES dei quattro periodi antecedenti.

Sottolinea, inoltre, il Collegio che il reddito rilevante ai fini Ires “include, nella base di calcolo, anche voci che nulla hanno nulla a che vedere con gli “extraprofitti” derivanti dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici. Si tratta in sostanza delle operazioni societarie relative ai fondi rischi, agli oneri o alle plusvalenze/minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, ovvero, ancora, da eventi collegati all’operatività straordinaria delle imprese, operazioni tutte che individuano un incremento di reddito che non ha alcuna connessione con l’incremento dei prezzi dell’energia”. Alcune di tali operazioni sono state retroattivamente, e significativamente, escluse dalla base di calcolo del precedente contributo di solidarietà per l’anno 2022 con un intervento recepito nella Legge di Bilancio 2023.

Inoltre, la norma introduttiva del contributo per il 2023 non tiene conto del fatto che una porzione dell’incremento dei profitti del 2022 rispetto alla media dei quattro anni precedenti deriva non dalla maggior capacità dell’impresa di produrre reddito, ma dalla fisiologica riespansione dei consumi energetici dopo la pandemia da Covid-19. In altre parole, non di extraprofitti occorre parlare in questo caso, ma di un mero “ritorno al volume di affari pre Covid”.

Ulteriore profilo di contrasto con i principi di uguaglianza e capacità contributiva costituzionalmente garantiti è ravvisato nel fatto che il contributo tende a colpire, de facto, una manifestazione di ricchezza in parte già tassata dal precedente contributo previsto, per il solo 2022, dall’art. 37 del Decreto Crisi Ucraina secondo cui “la base imponibile del contributo solidaristico straordinario è costituita dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1 ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1 ottobre 2020 al 30 aprile 2021”. Ne consegue, secondo il Giudice amministrativo, che i redditi conseguiti nei mesi compresi tra gennaio e aprile del 2022, già ricompresi come presupposto di imposta per la determinazione dell’importo del precedente contributo straordinario, confluiscono nella base imponibile per il calcolo del contributo del 2023, configurandosi pertanto un fenomeno di illegittima duplicazione di imposta privo, peraltro, di correttivi in termini di deducibilità, stante il vincolo di cui al comma 118 della norma introduttiva della misura. Ciò comporta un’ulteriore violazione del principio di proporzionalità, oltre a configurare un manifesto contrasto con il consolidato orientamento della Consulta (cfr., a titolo esemplificativo, Corte cost. sent. n. 262/2020) che afferma la piena deducibilità, ai fini del reddito d’impresa, dei costi inerenti sostenuti nell’esercizio della stessa.

Ancora, sussiste una palese contraddizione tra definizione della base imponibile e finalità solidaristico-redistributiva perseguita dal contributo in ordine al fatto che quest’ultimo viene calcolato anche su una quota di profitti discendenti da attività invero estranee a quelle normativamente indicate e prive di collegamento con il presupposto del tributo.

F.N.

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