È Illegittimo l’avviso di liquidazione privo degli elementi informativi riguardanti la basi imponibile e l’aliquota applicata

31 Ottobre 2023

Con l’Ordinanza 13 ottobre 2023 n. 28584 la Suprema Corte, ribadendo come un avviso di liquidazione emanato in relazione ad un atto giudiziario debba necessariamente contenere al suo interno l’indicazione dell’imponibile, l’aliquota applicata e l’imposta liquidata, ha confermato l’annullamento di un atto di liquidazione nella cui motivazione non risultavano presenti i riferimenti dell’atto posto alla tassazione, quali la specifica denominazione, la data ed il numero. La Corte ha pertanto ritenuto insufficiente l’indicazione del solo repertorio senza che sia esplicitato il criterio di calcolo dell’imposta richiesta.

Il CASO

Il caso posto al vaglio del Supremo Collegio afferisce al tema della motivazione degli avvisi di liquidazione in materia di tassazione – ai fini del registro – degli atti giudiziari.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate impugnava dinanzi alla S.C. la sentenza n. 983/2021 resa dalla C.T.R. Puglia – sez. distaccata di Taranto in forza della quale veniva accertata la legittimità della sentenza di prime cure con cui veniva disposto l’annullamento di un avviso di liquidazione avente ad oggetto la tassazione di una sentenza civile resa dal Tribunale di Taranto.

Il Collegio di seconde cure, in particolare, rilevando la carenza di elementi sufficienti ad identificare con facilità gli estremi della sentenza e l’aliquota applicabile ai fini dell’imposizione, accertava l’illegittimità della condotta dell’Ufficio in quanto soltanto nel corso del giudizio di appello veniva sanato il deficit motivazionale dell’atto, integrando surrettiziamente in sede processuale la motivazione stessa con l’indicazione delle informazioni riguardanti “l’atto tassato nonché il criterio per giungere all’imposta dovuta”.

Come si legge nell’Ordinanza in commento, la motivazione originaria dell’atto impugnato si riduceva all’indicazione soltanto del numero di repertorio e dell’autorità emanante (i.e. il Tribunale di Taranto) senza l’ulteriore specificazione riguardante la natura dell’atto posto alla tassazione (i.e. se Sentenza, Ordinanza, Decreto etc.) la data di pronuncia e deposito come pure le “ragioni per le quali l’Agenzia fosse pervenuta a determinare il rilevante importo indicato”.

L’Agenzia nel proporre Ricorso per Cassazione contestava la sentenza della CTR con due motivi di ricorso.

Nello specifico, contestava la sentenza per (i) una presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 5 del TUR avendo la Commissione di seconde cure, a proprio dire, erroneamente ritenuto non assolto l’obbligo motivazione in sede di emissione dell’atto di liquidazione, nonché (ii) per vizio di motivazione della stessa. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, la difesa erariale precisava come il presupposto dell’atto impositivo fosse certamente identificabile “dal riferimento all’autorità che aveva emanato l’atto giudiziario e dal numero di repertorio e che per di più l’atto giudiziario era indubbiamente conosciuto dai contribuenti i quali avevano partecipato alla causa definita con sentenza tassata”.

LA PRONUNCIA

Il Collegio adito, per questioni di ordine logico ha dapprima esaminato il secondo motivo di ricorso sopra enucleato, ritenendolo infondato.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto pienamente legittima e lineare la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ricordato «che i primi giudici l’avevano ritenuta (la motivazione – n.d.r.) carente perché “non era precisato quale fosse l’atto tassato e quali fossero i criteri di calcolo (dell’imposta) adottati” (…)» ha precisato«(…) che le precisazioni fornite in sede di giudizio non potevano valere a sanare il vizio motivazionale originario».

Anche con riguardo al primo motivo di ricorso di parte erariale sopra esposto, la Corte di legittimità ha ritenuto la sentenza impugnata “ineccepibile” e dunque meritevole di conferma.

La S.C., sul punto, rammenta le conclusioni a cui era giunta con un proprio precedente (i.e. Cass. 239 del 12.01.2021) in ragione del quale l’avviso di liquidazione emesso in relazione ad un atto giudiziario “deve contenere l’indicazione dell’imponibile, l’aliquota applicata e l’imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 St. contr. all’esigenza di garantire il pieno e immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili”.

Sulla scorta del principio sopra esposto, la Corte sottolinea che «Il generico riferimento ad un “atto giudiziario” di una certa autorità giudiziaria, non individuato per tipologia, per data e per numero, e il riferimento ad un numero di repertorio, non danno informazioni che consentono al contribuente di identificare facilmente l’atto tassato. La indicazione della base imponibile e la indicazione della aliquota sono elementi il cui difetto rende la pretesa impositiva incomprensibile».

In ragione di quanto ciò, la Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso e condannato l’Amministrazione alla refusione delle spese di lite.

L’Ordinanza in commento si pone nel solco di un sempre più folto filone giurisprudenziale che tende a tutelare il contribuente nei confronti di atti di liquidazione carenti delle informazioni essenziali per una tempestiva verifica circa la correttezza e la legittimità della pretesa impositiva, con la conseguente necessità di ricorrere a dispendiose attività di ricerca ed indagine che finiscono per comprimere il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Se è vero che la mancata allegazione della sentenza tassata di per sé potrebbe non rappresentare un vulnus motivazionale tale da inficiare la validità dell’atto, è parimenti vero che la mancata specificazione dei criteri di calcolo dell’imposta possa risultare altamente lesiva del diritto a conoscere i criteri di determinazione della pretesa in modo da potersi opportunamente difendere.

Tale aspetto di criticità appare ancora più tangibile in quelle situazioni nelle quali l’atto tassato racchiude molteplici statuizioni (riguardanti, ad esempio, condanne di diversa natura.) da cui derivano singole e diverse manifestazioni impositive (con diverse aliquote, basi di calcolo etc.).

Emblematica in tal senso è la sentenza Cass. n. 26340/2021 che, in proposito, ha dichiarato illegittimo un avviso di liquidazione emesso in relazione ad una sentenza contenente diversi capi di condanna con importi risarcitori diversi per ciascun soggetto coinvolto, da cui non era possibile evincere il criterio di determinazione delle pretese impositive.

Una maggiore attenzione all’obbligo di motivazione degli atti di tal natura sembra ancora più opportuna alla luce dell’ormai molto diffuso fenomeno della cartolarizzazione dei crediti di difficile esigibilità (si vedano i N.P.L) che vengono acquistati da società specializzate in recupero crediti. Quest’ultime, infatti, si trovano spesso a gestire contemporaneamente numerose posizioni creditorie pendenti dinanzi a giudici diversi, situati anche in diverse zone d’Italia. In caso di tassazione ai fini del registro di tali pronunce, appare oggettivamente insostenibile la legittimità di un atto carente degli elementi basilari sulla scorta di una presumibile conoscenza della sentenza.

A.C.

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