Onere probatorio puntuale nell’interposizione fittizia

28 Aprile 2023

La Corte di cassazione con la sentenza n. 9890/2023, depositata lo scorso 13 aprile, ha confermato il proprio orientamento in tema di interposizione fittizia, ex art. 37 comma 3 d.P.R. n. 600/1973, affermando che la prova cui è tenuta l’Amministrazione finanziaria che voglia contestare al contribuente l’imputazione di redditi di cui appaiono titolari altri soggetti non può prescindere dalla dimostrazione, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito per interposta persona.

IL CASO

Il casus belli traeva origine dalla notifica ad una società contribuente di due distinti avvisi di accertamento, il primo per IRES e il secondo per IVA e IRAP, emessi dall’Ufficio all’esito del controllo sulle dichiarazioni dei redditi, ex art. 37 comma 3 del d.P.R. n. 600/1973, di una società incorporata dalla contribuente e di un’altra società del medesimo gruppo.

In particolare, la società contribuente cedeva ad altra società del gruppo un’area edificabile ad un prezzo inferiore a quello di mercato e, successivamente, quest’ultima cedeva la nuda proprietà ad una diversa società del gruppo ad un corrispettivo superiore a quello di acquisto.

L’Ufficio riteneva che l’operazione posta in essere dalle parti disvelasse una interposizione fittizia, ovvero che la prima cessionaria fosse un soggetto meramente interposto nella duplice cessione immobiliare rispetto all’acquirente finale, al solo scopo di spostare materia imponibile (derivante dal realizzo della plusvalenza) a carico della società acquirente. In tal modo, quest’ultima sarebbe riuscita ad azzerare la stessa plusvalenza in presenza di perdite pregresse accumulate.

La contribuente, invece, censurava tale ricostruzione affermando che l’asserito quadro simulatorio prospettato negli accertamenti dall’Ufficio difettasse di una serie di elementi, tra i quali la prova della fittizietà dell’interposizione, dell’effettiva disponibilità del reddito in capo all’interponente, della partecipazione all’accordo simulatorio non solo della stessa contribuente, presunta interponente, e della società incorporata, presunta interposta, ma anche del terzo acquirente. Inoltre, per la società non erano state tenute in debita considerazione alcune circostanze specifiche dell’operazione di cessione immobiliare, come il fatto che “l’immobile è rimasto in capo all’acquirente per quattordici mesi, con conseguente assunzione del rischio di impresa, periodo durante il quale la ricorrente ha curato la ricerca di una società che finanziasse l’operazione, nonché si è adoperata per ottenere i permessi per edificare l’area”.

I giudizi di merito instaurati avverso i due atti di accertamento conoscevano alterne vicende, ma la Cassazione con la sentenza n. 9890 in commento, pronunciata il 7 febbraio 2023 e depositata il successivo 13 aprile, ha ritenuto di accogliere le doglianze della società contribuente, motivando espressamente sull’onere della prova richiesto all’Amministrazione finanziaria dall’art. 37 comma 3 del d.P.R. n. 600/1973.

LA PRONUNCIA

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno ribadito che per costante giurisprudenza della medesima Corte (Cass., Sez. V, 29 luglio 2016, n. 15830; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27625; Cass., Sez. V, 27 aprile 2021, n. 11055; Cass., Sez. V, 22 giugno 2021, n. 17743) l’art. 37 in parola non distingue tra interposizione fittizia e reale, di conseguenza non assumerebbe alcun rilievo l’eventuale omessa partecipazione del terzo contraente all’operazione.

La circostanza rilevante per la Suprema Corte è, invece, il fatto che i giudici di merito non abbiano accertato l’effettivo possesso del reddito (conseguito dalla società incorporata per effetto della cessione della nuda proprietà dell’immobile) da parte della società contribuente.

Il tenore dell’art. 37, cit., infatti, è chiaro nel prevedere che “in sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona”. La prova indiziaria richiesta all’Ufficio è, dunque, la dimostrazione – ancorché per il tramite di presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza – del possesso del reddito altrui da parte della società accertata, ad esempio provando l’avvenuta retrocessione del reddito dall’acquirente alla contribuente.

In definitiva, solo l’accertamento della gestione in via qualificata, uti dominus, da parte dell’interponente delle risorse finanziarie del soggetto interposto, consente all’Amministrazione finanziaria di imputare all’interponente i redditi di cui appare titolare l’interposto ai sensi dell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973.

Poiché nella specie è mancato un simile accertamento, le sentenze impugnate per i giudici meritano di essere cassate con rinvio.

Con questa pronuncia si rafforza l’orientamento già presente in seno alla Suprema Corte (cfr. Cass. 23231/2022 e Cass. 5276/2022) secondo cui non è sufficiente che l’Amministrazione finanziaria dimostri la percezione del reddito da parte dell’interponente, essendo necessaria – alla luce dell’art. 37, cit., - la dimostrazione che l’interponente dispone delle risorse finanziarie dell’interposto non come mero gestore, ma come se fossero proprie (c.d. possesso uti dominus).

Una volta dimostrato il totale asservimento della società interposta all’interponente e, quindi, la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto interposto, spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione o della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (cfr. Cass. nn. 19878/2021, 17743/2021).

S.L.

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