Riforma della giustizia tributaria: la nascita della nuova quinta magistratura

15 Novembre 2022

La legge di riforma n. 130/2022, nel dare attuazione agli obbiettivi del PNRR incentrati su di un innalzamento del livello qualitativo delle sentenze tributarie e contestuale decongestionamento della giustizia, è intervenuta apportando significative modifiche ed integrazioni al D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, relativo all’Ordinamento degli organi di giustizia tributaria. Nel quadro di una sempre più considerevole stasi del sistema giustizia, l’intervento legislativo, puntando sull’istituzione di un più autonomo e specializzato organico di magistrati, ha segnato un indiscutibile punto di rottura con il passato, pur non senza lasciare spazio a possibili riflessioni critiche.

Le principali modifiche ordinamentali

In attuazione alle disposizioni in materia di giustizia tributaria contenute all’art. 1 della L. n. 130/2022, viene in primis modificata la denominazione degli organi giurisdizionali: già a far data dal 16 settembre 2022 la nomenclatura di “Commissione tributaria” provinciale e regionale, ha lasciato il posto a quella, più processuale, di Corti di Giustizia Tributaria rispettivamente di primo e secondo grado, abbandonando anche sul piano formale ogni rievocazione a strutture amministrative.

Indubbiamente, la novità non si riduce ad una questione meramente nominalistica. L’amministrazione delle nuove Corti di Giustizia verrà infatti affidata ad una nuova classe di magistrati a tempo pieno, reclutati all’esito di un concorso pubblico per esami ed equipollenza fra titoli (in luogo della sola laurea in giurisprudenza richiesta in precedenza) che, con decreto del MEF, verrà bandito di regola annualmente - in relazione ai posti che si renderanno vacanti - secondo le regole contenute negli emendati articoli 4 e seguenti del D.lgs. n. 545/1992.

In esito allo svolgimento di un tirocinio formativo di almeno 6 mesi presso le Corti di Giustizia, la cultura specializzata dei neo magistrati procederà nel disegno della riforma, e ciò sia su di un piano prettamente tecnicistico mediante assoggettamento a formazione e aggiornamento continuo, sia sul lato economico con il riconoscimento di un equo compenso. Difatti, nel chiaro intento di restituire dignità ai giudici tributari, viene disposta dal nuovo art. 13-bis del Decreto del ’92 l’equiparazione della retribuzione, trovando applicazione per la nuova classe concorsuale, in quanto compatibili, le disposizioni che disciplinano il trattamento economico e previdenziale degli attuali magistrati ordinari.

Il passaggio alla nuova magistratura non sarà tuttavia immediato. La riforma richiede un necessario periodo transitorio di oltre 30 anni (sino al 2053) durante il quale i giudici tributari laici già presenti alla data del 1° gennaio 2022 nel ruolo unico presso le CTR e CTP, resteranno in servizio sino a cessazione dell’incarico, con limite di pensionamento che fissato a 74 anni nel 2023 andrà a decrescere annualmente fino ad arrivare ai 70 anni nel 2027, in armonia a quanto previsto per le altre magistrature.

La giurisdizione di merito verrà pertanto affidata agli attuali giudici con ruolo ad esaurimento nonché progressivamente e in parallelo a magistrati di nuova nomina, per un organico complessivo che consterà di 576 unità, di cui 448 presso le Corti di giustizia tributaria di primo e 128 presso le Corti di giustizia di secondo grado.

Più nel dettaglio, già a partire dal 2023 - in vista dell’imminente esigenza di ridurre l’ingente carico di contenzioso - si procederà con l’assunzione per opzione, in seguito alla procedura di interpello, di 100 giudici togati di età inferiore a 60 anni: 50 provenienti dalla magistratura ordinaria e 50 dalle altre magistrature.

Per le restanti 476 unità, saranno invece indetti concorsi con cadenza annuale (dal 2024 al 2030), riservando nei primi tre bandi il 30% dei posti in favore dei giudici tributari onorari già in servizio.

Le prime riflessione critiche

Da una prima analisi, quello che emerge dalla Riforma è il disegno di una magistratura professionale e tecnicamente preparata che interviene indubbiamente in ottica evolutiva su di un sistema giustizia da sempre gravato dal limite di avvalersi di giudici non specializzati. In una materia, quale quella tributaria, connaturata da un fisiologico tecnicismo, non si può non prendere atto del ruolo, certamente concomitante con altri fattori, che l’amministrazione “part time” delle ex Commissioni tributarie, affidata sino ad oggi a giudici presi in prestito da altre magistrature o dal mondo delle professioni, ha giocato rispetto all’attuale mole e qualità dei giudicati.

Senonché fin dagli albori, la nascita della Quinta Magistratura, pur nel complesso considerata condivisibile ed opportuna, non ha mancato di sollevare negli operatori di settore riflessioni critiche rispetto a quelle che sono le esigenze partiche. Non è un caso che l’AMT (Associazione Magistrati Tributari) abbia indetto uno sciopero lo scorso mese di settembre, da imputare proprio alle denunciate criticità della riforma, rimanendo irrisolti, a giudizio dei primi commentatori, taluni profili di assoluto rilievo.

La tematica più che mai dibattuta attiene alla persistente dipendenza degli organi giudicanti dal Ministero dell’Economia e della Finanza. A parere dell’AMT detto rapporto di dipendenza avrebbe anzi subìto un rafforzamento in ragione dell’attribuzione al MEF (titolare sostanziale dell’interesse oggetto delle controversie tributarie) di poteri di gestione dello status economico-giuridico dei magistrati tributari e dei concorsi di reclutamento.

La questione in ordine alla mancata conservazione delle guarentigie di autonomia e indipendenza in capo ai giudici tributari, è giunta ora al vaglio della Consulta.

La Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Venezia, con la corposa ordinanza n. 408 dello scorso 31 ottobre, ha sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di legittimità di gran parte delle disposizioni che disciplinano l’ordinamento giudiziario tributario così come novellate dalla recente riforma. Il minimo comune denominatore, si legge nell’ordinanza, parrebbe rappresentato proprio dal rafforzato ruolo del Mef, in inevitabile contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell'indipendenza e dell'imparzialità dei giudici rispetto all'assetto normativo preesistente, “che già appariva idoneo a pregiudicare la garanzia dei ridetti fondamentali principi in materia di giurisdizione”.

In attesa di capire se l’articolata ordinanza sarà in grado di condurre ad una dichiarazione di incostituzionalità, resta l’impressione che la questione non sia soltanto di apparenza. Invero, pur volendo minimizzare l’aspetto costituzionale di un rapporto di dipendenza che se vogliamo si presenta in conformità con l’anomalia precedente, permane comunque il problema dell’immagine che si restituisce al contribuente, quella di un giudice che dovrebbe non solo essere anche apparire indipendente agli occhi delle parti.

Le preoccupazioni non sono limitate comunque alla suddetta criticità.

Sotto il profilo organizzativo, Il lungo avvicendamento dei giudici “professionali” con gli attuali “onorari”, secondo l’AMT rischia di creare una grave carenza di organico, che vede tra le sue principali cause la nuova formulazione del progressivo pensionamento a 70 anni. La sensibile riduzione del numero di giudici, di cui si stima 1.110 cesseranno dalla funzione già solo nell’arco dei primi cinque anni, si teme possa ingenerare un severo disservizio dell’attività giudiziaria.

Come denunciato dai più autorevoli commentatori, appare poco realistica non solo la stima di produttività del singolo magistrato (pari a 374 sentenze annue), ma altresì il transito di 50 giudici togati speciali ad una nuova magistratura priva di prerogative extragiudiziarie e di un possibile accesso alla costituenda Sezione Specializzata.

Per una valutazione analitica dei risultati cui condurrà il nuovo impianto, non rimane che attendere la concreta applicazione delle novità introdotte dalla legge di riforma, quali in particolare l’istituzione del giudice monocratico per le cause sino a 3.000 € e la possibilità del giudice tributario di formulare proposte conciliative, raffrontandoli in ottica comparativa rispetto alla mole di interventi ed integrazioni che si renderanno in corsa necessari.

G.S.

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