Utilizzabili ai fini dell’accertamento tributario gli elementi acquisiti illegittimamente in sede penale

1 Settembre 2022

La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n. 25473 depositata il 29 agosto 2022, ha ribadito il principio secondo cui l’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale, può in linea di principio avvalersi di qualsiasi elemento di valore indiziario, anche unico, ancorché acquisito illegittimamente secondo l’ordinamento processuale penale. A tale regola fanno eccezione gli elementi la cui inutilizzabilità discende da una specifica disposizione tributaria e gli elementi acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale, stante la netta differenziazione tra processo penale e processo tributario.

Il caso

La società V.P. S.p.A. ha ricevuto l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005 con cui l’Ente impositore ha rettificato il reddito della società contribuente, recuperando maggiori importi ai fini delle imposte dirette e dell’IVA.

La contestazione mossa dall’Ufficio scaturisce da controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza, all’esito dei quali emergeva l’esistenza di una c.d. “frode carosello” finalizzata a lucrare indebite detrazioni di IVA, con ingenti risparmi di imposta mediante l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

La società ha impugnato l’atto impositivo innanzi alla competente CTP di Milano che ha accolto il ricorso con conseguente annullamento dell’atto impositivo. La decisione della CTP veniva riformata in sede di gravame, con accoglimento dell’appello erariale.

V.P. S.p.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a plurimi motivi. Per quanto rileva ai fini del presente commento, ha sostenuto la nullità della sentenza di appello, per avere la CTR utilizzato atti emersi nel giudizio penale quali elementi probatori nel giudizio tributario violando il principio del c.d. “doppio binario” ex art. 20 del D. Lgs. n. 74 del 2000. Ciò prospettando come tali elementi siano stati acquisiti illegittimamente, in violazione delle disposizioni del codice di procedura penale.

Con separato motivo ha rilevato l’errata decisione del giudice d’appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR, nella parte in cui non ha concesso la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e la detraibilità dell’IVA ai fini delle imposte indirette.

La decisione

La Cassazione con l’Ordinanza in commento ha respinto tutti i motivi di ricorso formulati dalla ricorrente, salvo quello relativo alla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette. Di conseguenza, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della CTR.

Di particolare interesse è la decisione relativa alla questione sulla possibilità di utilizzare gli elementi relativi al processo penale, seppur acquisiti illegittimamente. Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto utilizzabili tali elementi nel procedimento di accertamento tributario, richiamando sul punto la giurisprudenza sedimentata della stessa Cassazione.

In particolare, è stato chiamato il principio secondo cui: “In materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia prescritte per il procedimento penale non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio, oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (art. 20 del D. Lgs. n. 74/2000), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p. ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. Att. C.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale”[1].

È stata richiamata altresì la recente decisione della Cassazione[2] in base alla quale: “L’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale, può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento di valore indiziario, anche unico, ancorché acquisito illegittimamente secondo l’ordinamento processuale penale, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale, stante la netta differenziazione tra processo penale e tributario (…)”.

La Suprema Corte conclude rilevando come il giudice tributario possa legittimamente porre a base del proprio convincimento, in ordine ai fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche le prove assunte in un diverso processo, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti con le altre risultanze del processo.

Quanto alla deducibilità dei costi relative alle operazioni soggettivamente inesistenti e alla detrazione dell’IVA, la Cassazione ha stabilito di poter riconoscere il diritto di detrazione dell’IVA soltanto previa dimostrazione di non aver saputo o non poter sapere di aver preso parte di un’operazione fraudolenta. Diversa la decisione per la deducibilità dei costi, atteso che l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, non utilizzati direttamente per commettere il reato, anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento, purché siano rispettati i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza o determinabilità[3].


[1] Cass. n. 28060 del 2017 e Cass. n. 22984 del 2010.

[2] Cass. n. 31243 del 2019.

[3] Ex pluribus Cass. n. 11020 dl 2022.

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