Cittadini italiani residenti in Svizzera ma con attività lavorativa nel nostro Paese: non possono considerarsi fiscalmente residenti in Italia

13 Giugno 2022

Abstract

Con l’ordinanza del 6 giugno 2022, n. 18009 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di merito che aveva attestato la residenza fiscale in Svizzera di un cittadino italiano che percepiva la totalità dei suoi redditi in Italia. Rilevante per la decisione è stata l’individuazione del centro degli interessi vitali nel paese elvetico. La pronuncia si pone in apparente controtendenza rispetto ad alcuni recentissimi precedenti che, sulla base di elementi di fatto analoghi a quelli valorizzati in questa sede, hanno raggiunto esiti opposti.

Il caso

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2004, ad un contribuente anagraficamente residente in Svizzera dal 1997 e iscritto all’AIRE[1] dall’anno successivo. Con tale atto l’Ufficio, contestando l’omessa dichiarazione, recuperava a tassazione i redditi da lavoro percepiti dal contribuente in Italia presso una nota S.p.A. della quale era stato dirigente fino al 2001 ed in seguito amministratore delegato, con poteri di firma e gestione di tre stabilimenti. Secondo l’Ufficio, da tale situazione di fatto poteva dedursi una presenza stabile in Italia del contribuente, sì da consentire di rettificarne la residenza sulla base dell’art. 2, c. 2bis, del TUIR[2]. La norma prevede infatti una presunzione di residenza fiscale in Italia per coloro che si siano cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e si siano trasferiti in uno stato a fiscalità privilegiata (qual è, appunto, la Svizzera[3]). Ne scaturiva un contenzioso tributario all’esito del quale la Commissione tributaria regionale per la Lombardia (“CTR”) confermava la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente.

I motivi per i quali i giudici regionali avevano così statuito sono da ricercare nell’operatività dell’art. 4, par. 2, della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera[4]. La norma prevede, quale tie breaker rule in caso di incertezza sulla residenza della persona fisica tra i due Paesi, che occorre prendere in considerazione il criterio della “abitazione permanente” ed in subordine il criterio del “centro degli interessi vitali”, inteso come il luogo nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.

A giudizio della CTR, il contribuente aveva addotto un’ampia serie di elementi di fatto sulla base dei quali dedurre la permanenza in Svizzera del proprio centro di interessi vitali. In particolare: a) la residenza in Svizzera congiuntamente alla moglie e al figlio; b) la stipula di un mutuo per l’acquisto della propria abitazione nel Paese elvetico; c) l’esperienza lavorativa e scolastica dei predetti congiunti in Svizzera; d) la circostanza di recarsi giornalmente a lavoro in Italia come dimostrato dagli estratti Telepass. Da siffatti elementi ne era derivato che il trasferimento in Svizzera non aveva avuto natura fittizia.

La pronuncia

Con il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 TUIR, dell’art. 43 c.c. e dell’art. 2697 c.c. Secondo l’Ufficio, ai sensi dell’art. 2 TUIR, la residenza fiscale si determina anche in base al domicilio il quale, ai sensi dell’art. 43 c.c., coincide con il luogo in cui la persona ha la sede dei propri affari ed interessi, tali essendo non solo quelli personali ma anche patrimoniali. Nella prospettazione dell’Agenzia in questa sede sarebbero da valorizzare proprio gli interessi patrimoniali, preminenti rispetto a quelli personali, dalla cui sussistenza può farsi derivare la residenza in Italia. Sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 c.c. l’Agenzia deduceva altresì l’omesso assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribuente, sul quale incombeva – in forza della presunzione legale di cui al c. 2bis dell’art. 2 TUIR – la prova contraria.

La Corte di cassazione respinge tutte le censure, ritenendo il ricorso dell’Ufficio infondato.

Sotto il profilo dell’onere della prova i giudici di legittimità affermano che una violazione dell’art. 2697 c.c. può essere dedotta soltanto laddove si lamenti che il giudice che ha emesso la sentenza impugnata abbia fatto cattivo uso della regola del riparto dell’onere probatorio ivi descritta. Ma non è questo il caso: operando la presunzione legale relativa, il contribuente aveva infatti allegato una serie di elementi di fatto rilevanti ai fini della prova contraria in modo conforme a quanto indicato dalla circolare 140/E/1999. Tale documento di prassi, esplicativo della disciplina di cui all’art. 2, c. 2bis, TUIR, reca un elenco di ipotesi esemplificative di “prova contraria” tra cui rientrano proprio  gli elementi addotti dal contribuente nel caso di specie.

Quanto alla violazione dell’art. 2 TUIR, la Corte osserva che la rettifica della residenza del contribuente da parte dell’Ufficio è fondata sulla considerazione per cui in Italia sussistesse il relativo domicilio, secondo la definizione che ne dà l’art. 43 c.c., ossia “sede principale degli affari e degli interessi”. Nell’ambito di tale definizione, il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, deve intendersi comprensivo anche degli interessi personali. La Corte afferma che la CTR ha adeguatamente soppesato i vari elementi dedotti e provati dal ricorrente ai fini della residenza “evidenziando alla loro luce che da molti anni la parte abbia stabilito il proprio centro di interessi vitali in Svizzera (…) e che non vi fossero altri elementi gravi, precisi e concordanti di segno contrario”. Decisiva è anche la considerazione per cui la vicinanza tra luogo di residenza e sede di lavoro non impedisce di considerare il centro di interessi vitali in Svizzera.

Le predette elaborazioni della Suprema Corte vengono svolte pur premettendo che la valutazione di merito compiuta dalla CTR è insindacabile in sede di legittimità. Nondimeno, i giudici ritengono di dover prendere posizione rispetto al richiamo fatto alla Convenzione Italia-Svizzera dalla sentenza della CTR: in effetti, le considerazioni dei giudici regionali portano a ritenere sussistente in Svizzera l’”abitazione permanente”, e quindi integrato il primo criterio di risoluzione dei conflitti sulla residenza individuato dall’art. 4, par. 2, della predetta Convenzione. Appare quindi inconferente il richiamo da parte dell’Ufficio all’art. 2 TUIR, giacché “la convenzione stipulata tra gli Stati, al pari delle altre norme internazionali pattizie, riveste carattere di specialità rispetto alle corrispondenti norme nazionali e quindi prevale su queste ultime, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali sanciti dall’art. 117, primo comma, Cost.”.

Come anticipato in premessa, la pronuncia in analisi, ad una prima lettura, pare raggiungere conclusioni opposte rispetto a quelle emergenti da altri arresti della Cassazione, licenziati sulla base di situazioni di fatto analoghe a quella descritta in questa sede.

Si prenda ad esempio la recente ordinanza del 25 maggio 2022, n. 16954. In quel caso, i giudici di secondo grado aveva accertato la residenza in Italia di un contribuente formalmente residente in Svizzera sulla base di indici fattuali quali “la residenza - anche formale - dei prossimi congiunti in Italia, il consumo molto elevato di energia elettrica […] la disponibilità di una imbarcazione da diporto in Chiavari, le movimentazioni bancarie rilevate, la percezione di forti compensi in Italia, la disponibilità di studio professionale in Milano,  l'effettuazione di numerose - ed ingenti nel valore - operazioni presso sportelli bancari italiani […]”.

Il contribuente aveva promosso ricorso per cassazione denunciando l’omesso esame del fatto che i prossimi congiunti risiedessero in Svizzera ed ivi il figlio frequentasse la scuola pubblica. La Corte di legittimità, confermando la pronuncia di secondo grado, ha affermato in quella occasione l’irrilevanza di tali elementi circostanziali nella valutazione complessiva sulla residenza dello specifico contribuente, ritenendo che non rivestano un ruolo prioritario “le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.

L’apparente contraddizione tra le due pronunce analizzate può nondimeno essere risolta concludendo che la valutazione giudiziale di criteri attributivi della residenza fiscale, qual è il domicilio, sarà sempre ed inevitabilmente determinata da un approccio “case by case”, valutando il peso che su un’ipotetica “bilancia” in concreto assumeranno le abitudini, le dotazioni patrimoniali ed altri elementi fattuali di collegamento che connotano la vita del contribuente in ciascuno degli Stati che si contendono la residenza.

A.P.


[1] I.e. Anagrafe degli italiani residenti all’estero.

[2] Testo unico delle imposte sui redditi, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

[3] Si veda il D.M. 4 maggio 1999.

[4] Ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943.

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