Il mancato pagamento delle imposte per una crisi di liquidità cagionata dalla pubblica amministrazione non integra l’esimente della forza maggiore

9 Maggio 2022

Abstract

La Suprema Corte con la Sentenza n. 11111/2022 si occupa, con riferimento alle sanzioni tributarie, della forza maggiore in un caso di particolare interesse: il mancato versamento delle imposte per una crisi di liquidità cagionata dalla pubblica amministrazione. Al riguardo, aderendo ad uno degli orientamenti della giurisprudenza, la Cassazione ha affermato che la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, riferendosi a un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta.

Il caso

La società contribuente, operante nel settore della distribuzione di energia elettrica ed eroga energia elettrica ad enti pubblici, ha ricevuto dall’Agenzia delle Dogane, un avviso di pagamento per il recupero di accise non pagate, cui ha fatto seguito la notifica di un atto di contestazione concernente l’omesso pagamento della rata di acconto relativa al mese di marzo 2009.

La società ha impugnato l’atto di contestazione innanzi alla competente CTP di Vicenza ottenendone l’annullamento. La decisione di prime cure è stata confermata nel successivo grado di giudizio dalla CTR per il Veneto con conseguente rigetto del ricorso in appello. La CTR, in particolare, ha ritenuto dovessero annullarsi la sanzione per omesso versamento ritenendo sussiste nel caso di specie l’invocata esimente della forza maggiore a seguito dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

La norma di riferimento è l’art. 6, comma 5 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, secondo cui: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.

Le ragioni della società si ricollegano quindi alla considerazione secondo cui è stata la stessa pubblica amministrazione, con i propri ritardi nei pagamenti, a generare una crisi di liquidità nella contribuente, impedendole di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni tributarie. Per tale ragione, l’Ufficio non potrebbe pretendere in pagamento (anche) una sanzione tributaria.

Propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Dogane rilevando, per quanto interessa ai fini del presente commento, la violazione di legge per l’impossibilità di ritenere operante nel caso di specie l’esimente della forza maggiore.

La decisione

La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane e, decidendo nel merito, ha respinto l’originario ricorso della società contribuente, confermando pertanto l’atto di contestazione delle sanzioni.

La decisione si rivela di particolare interesse con riferimento alle precisazioni svolte in ordine alle oscillazioni della giurisprudenza. Spiega infatti la Suprema Corte che la giurisprudenza più recente[1] mutua la definizione di forza maggiore dalla giurisprudenza unionale avendo riguardo sia all’elemento oggettivo (esistenza di circostanze estranee all’operatore, anormali e imprevedibili), sia a quello soggettivo (obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi). Secondo tale orientamento la situazione di illiquidità causata dai ritardi della P.A. non rientrano nella nozione di forza unionale maggiore.

Vi è un altro indirizzo[2], secondo cui la nozione di forza maggiore deve delinearsi nel quadro del diritto sanzionatorio. In questo senso, ai fini della rilevanza dell’applicazione delle sanzioni sono sufficienti la coscienza e volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, che si presume fino alla prova della sua assenza.

La Corte di cassazione, così delineato il quadro, ritiene accoglibile il secondo approccio della giurisprudenza, richiamando il principio fissato dalle SS.UU. penali[3] che hanno escluso il rilievo scriminante delle impreviste difficoltà economiche. Non sarebbero invece pertinenti i principi fissati in materia sanzionatoria dal diritto unionale che hanno riguardo alla sanzione con riferimento ai canoni di adeguatezza e di proporzionalità con riferimento al rischio di perdita di gettito.

La sanzione tributaria – spiega la Cassazione – è concettualmente autonoma dal tributo e il legislatore ha espressamente attribuito alla materia sanzionatoria una natura punitiva con i decreti legislativi 471, 472 e 473 del 1997. Dovendosi attribuire rilevanza all’accezione penalistica della forza maggiore, la stessa si riferisce “a un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della condotta prevista dal primo comma dell’art. 42 c.p.”.

In questa chiave, l’esimente prefigura un soggetto assolutamente privo della possibilità di sottrarsi a una forza per lui irresistibile.

Tornando al caso in esame, la carenza di liquidità derivante dai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione non può assurgere alla nozione di forza maggiore. Ciò innanzitutto perché la forza maggiore incide sul nesso psichico e ciò non sarebbe stato provato dalla società contribuente. Inoltre i ritardi della P.A. sarebbero prevedibili nel caso di specie, sulla base di quanto riferito dalla stessa società contribuente, per cui difetterebbero i requisiti per ritenere operante l’esimente della forza maggiore.

La decisione in commento, pur riconoscendo l’esistenza di una giurisprudenza oscillante sullo specifico punto, sembra trascurare l’effettiva condizione di un soggetto in stato di crisi, in quale spesso non dispone di alcuna risorsa per adempiere alle proprie obbligazioni, e le conseguenti ripercussioni secondo il diritto della crisi d’impresa. Sotto un diverso profilo, la richiesta di un pagamento ulteriore rispetto al debito di imposta, da parte del soggetto che ha impedito il regolare pagamento dell’obbligazione tributaria appare in contrasto con la funzione tipica delle sanzioni tributarie. Le stesse infatti, in un contesto di crisi d’impresa, non potrebbero applicarsi efficacemente in chiave preventiva, evitando una violazione tributaria, né in chiave punitiva non avendo il contribuente altra soluzione rispetto all’inadempimento.

Con tutta evidenza, nel contesto delineato si rischia di incrementare oltremodo il credito erariale con evidente disparità rispetto agli altri creditori.

F.D.D.D.


[1] Cass. n. 17027/2021 e n. 39548/2021

[2] Cass. n. 2139/2020 e n. 15415/2021

[3] Cass. SSUU n. 37424/2013

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