La collocazione fittizia della residenza fiscale all’estero (c.d. “esterovestizione”) richiede la prova della finalità di risparmio fiscale

17 Marzo 2022

Abstract

Con la Sentenza 15 marzo 2022 n. 8297 la Corte di cassazione torna ad occuparsi della c.d. “esterovestizione”, ovvero della collocazione fittizia della residenza fiscale all’estero. Al riguardo, la Suprema Corte richiamando un proprio consolidato orientamento ha precisato che tale ipotesi richiede, tra l’altro, la necessaria prova del vantaggio fiscale conseguito dal contribuente quale scopo essenziale dell’operazione.

Il caso

Alla società A. s.a., società con sede in Lussemburgo e holding del gruppo, è stato notificato un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2005 ai fini IRES e IVA. L’atto impositivo è scaturito da una verifica operata dalla GdF all’esito della quale è emerso che la società, formalmente di diritto lussemburghese, sarebbe di fatto residente in Italia con conseguente tassazione dei redditi conseguiti.

La società ha impugnato l’atto impositivo innanzi alla competente CTP di Milano rilevando in particolare come l’Ufficio non abbia neppure evidenziato i vantaggi tributari perseguiti con l’esterovestizione. Il Giudice adito ha accolto le doglianze della società, con sentenza oggetto di impugnazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il Giudice d’appello ha respinto il ricorso dell’Ufficio confermando la circostanza, rilevante ai fini dell’ipotesi di esterovestizione, secondo cui l’Agenzia delle Entrate non avrebbe dimostrato che la collocazione fittizia della residenza fiscale all’estero ha una finalità di risparmio fiscale. La CTR, nello specifico, ha appurato come la holding abbia sempre e comunque esercitato la gestione amministrativa delle partecipazioni possedute nelle controllate estere e l’attività di direzione.

Inoltre, ad avviso della CTR l’Amministrazione finanziaria avrebbe completamente obliterato la finalità fiscale della ricostruzione elusiva, constatando altresì che la documentazione agli atti sarebbe insufficiente a dimostrare l’ipotesi di esterovestizione.

Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Amministrazione finanziaria, ricorso affidato a plurimi motivi tra cui – per quanto rileva ai fini del presente commento – la violazione dell’art. 73 del DPR n. 917/1986, dell’art. 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per aver ritenuto necessaria la CTR, ai fini della prova dell’esterovestizione, la prospettazione del vantaggio fiscale conseguito dalla società.

La pronuncia

La Corte di cassazione con la Sentenza n. 8297/2022 ha ritenuto infondato il motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, concludendo per il rigetto del ricorso e conseguente condanna alla liquidazione delle spese di giudizio. Allo scopo ha richiamato i punti salienti della nozione di esterovestizione e di abuso della libertà di stabilimento.

In primo luogo, la Suprema Corte ha segnalato come non colga nel segno il motivo formulato dall’Ufficio in quanto limitato ad una lettura parziale della decisione di appello. La CTR infatti non si sarebbe limitata ad attribuire rilevanza alla mancata prova del vantaggio fiscale ma ha indicato ulteriori elementi idonei a rendere infondata nella specie l’ipotesi di esterovestizione.

La Cassazione ha precisato quindi che l’esterovestizione ricorre allorché una società, che ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione[1], localizzi la propria residenza all’estero con l’unico fine di fruire di una normativa fiscale di favore. In questo senso, è necessario accertare che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento del vantaggio fiscale non essendo sufficiente – spiega la Corte – applicare un criterio generale predeterminato. È invece indispensabile l’esame tutti gli aspetti dell’operazione.

Degno di nota è anche il richiamo alla giurisprudenza unionale con riferimento al diritto di stabilimento. Sotto questo profilo, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che, in tema di libertà di stabilimento, una società creata in uno Stato membro per fruire di una normativa fiscale più vantaggiosa non costituisce di per sé un abuso a tale libertà. Una normativa nazionale che restringe tale libertà è ammessa soltanto per le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato [2]. Di conseguenza, una limitazione alla libertà di stabilimento può avere ad oggetto soltanto le “costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”.

FDDD


[1] Da intendersi come luogo concreto in cui svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale sono promanate le decisioni (Cfr. Cass. 21 giugno 2019 n. 16697).

[2] Corte di Giustizia UE 12 settembre 2005, Causa C-196/04, Cadbury Schweppes).

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