Il “doppio binario” della responsabilità del socio di una società di capitali estinta – Commento a Cass. civ., ord. 26 maggio 2021, n. 14570

14 Giugno 2021

Abstract

La responsabilità del socio, prevista ai sensi dell’art. 36, co. 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, si configura come responsabilità per obbligazione “propria” ex lege avente natura civilistica e non tributaria. Essa è, dunque, diversa e ulteriore rispetto alla responsabilità ex art. 2495 c.c., che presuppone l’avvenuta estinzione della società e determina un fenomeno di tipo successorio in capo al socio stesso.

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La sezione tributaria della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 14570 depositata il 26 maggio 2021, è tornata a occuparsi dell’annosa questione della responsabilità dei soci per i debiti fiscali delle società cancellate dal registro delle imprese.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato dall’ex socio di una società di capitali estinta (in qualità di “successore” della stessa ai sensi dell’articolo 2495 del codice civile) avverso una cartella esattoriale emessa con ruolo straordinario, a seguito di un avviso di accertamento notificato all’ente. In parallelo, con diverso e ulteriore atto di contestazione, era stata eccepita la responsabilità del medesimo soggetto in qualità di socio, ai sensi dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia (“CTR”) aveva respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso del contribuente. Per il giudice di appello (che, occorre evidenziare, si era occupato della “successione” del socio nei debiti della società estinta, ai sensi dell’art. 2495 c.c., e della conseguente cartella di pagamento emessa con ruolo straordinario ex artt. 11 e 15-bis del d.P.R. n. 602/1973) la responsabilità del socio per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito doveva essere accertata dall’Ufficio con atto motivato, dimostrando il presupposto della responsabilità di questi, e cioè che in concreto vi fosse stata la distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo fosse stata dal socio riscossa, oppure che vi fossero state le assegnazioni sanzionate dall’art. 36, co. 3, del d.P.R. n. 602/1973.

L’Agenzia delle entrate, con un unico motivo di impugnazione, aveva dedotto la “violazione o falsa applicazione dell’art. 2945, comma secondo, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3. c.p.c.” dal momento che la stessa aveva accertato la responsabilità del contribuente in qualità di ex socio di società estinta, con conseguente successione a titolo universale della persona all’ente (e non, invece, come erroneamente dedotto dal giudice di merito, ai sensi dell’art. 36, co. 3, del d.P.R. n. 602/1973).

La Suprema Corte, nell’accogliere l’istanza dell’Amministrazione e cassare la sentenza impugnata – con conseguente rinvio alla CTR in diversa composizione – si sofferma ad analizzare in maniera puntuale e precisa le condizioni e i presupposti di applicazione delle due diverse tipologie di responsabilità che possono emergere in capo al socio di una società di capitali per i debiti tributari di quest’ultima.

L’art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 detta la disciplina della responsabilità di liquidatori, amministratori, soci e associati. In particolare, questi ultimi, se “hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo di liquidazione”, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai liquidatori stessi nei limiti del valore dei beni ricevuti, salve le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.

I giudici di legittimità, ribadendo il proprio orientamento sul punto, osservano che tale responsabilità è per obbligazione “propria” ex lege, avente natura civilistica e non tributaria, e sorge ove si verifichino le condizioni poste dalla norma, a prescindere da elementi di carattere soggettivo – dolo o colpa – ma secondo le norme comuni previste dagli artt. 1176 e 1218 c.c.[1]. Essa, poi, è applicabile alle sole imposte sui redditi e all’IRAP e prescinde dall’avvenuta cancellazione della società. Inoltre, il credito che matura nei confronti del socio rappresenta titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa. L’Ufficio, in tale contesto, ha l’onere di accertare la responsabilità in oggetto con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario contemplate dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Attraverso la disposizione prevista dall’art. 36, co. 3, del d.P.R. n. 602/1973 si consente, dunque, all’Agenzia delle entrate di agire in via “sussidiaria” nei confronti dei soci “pro quota”, salve, come detto, “le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”.

A parere della Corte, il legislatore in questo caso fa implicito riferimento alla responsabilità ex art. 2495 c.c. che prevede una forma di responsabilità dei soci anche oltre i limiti delle somme e dei beni ricevuti nella fase di liquidazione e nei due periodi d’imposta precedenti. Qualora, infatti, all’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo, secondo la Cassazione si determina un fenomeno di tipo successorio.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, si determina il trasferimento ai singoli soci:

  • dell’obbligazione della società, nei limiti di quanto da questi riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente[2];
  • dei diritti e dei beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, in regime di contitolarità o comunione indivisa e con esclusione delle mere pretese e dei crediti ancora incerti o illiquidi[3].

In tal modo non si configura un “debito nuovo” a carico dei soci, trattandosi del medesimo debito che era a carico della società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica.

Nel caso di specie, quindi, la Cassazione, accogliendo il ricorso proposto dall’Agenzia, evidenzia che l’Ufficio ha agito nei confronti del socio quale successore della società estinta ex art. 2495 c.c. e non a titolo di responsabilità diretta ex lege di cui all’art. 36, co. 3, del d.P.R. n. 602/1973.

R.C.


[1] La Suprema Corte, nell’ordinanza in oggetto, precisa che “i presupposti della responsabilità vanno così designati: a) esistenza e definitività del debito tributario della società (Cass., 17 giugno 2002, n. 8685; Cass., 8 gennaio 2014, n. 179), in relazione all’espressione “imposte dovute”; b) sussistenza di attività della liquidazione; c) distrazione di beni; d) assegnazione ovvero percepimento di beni o somme di denaro in un definito arco temporale, ossia durante il tempo della liquidazione e nei due anni precedenti l’apertura della procedura”.

[2] A seconda che essi siano limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

[3] Cfr. Cass. civ., sez. un., sentenza 12 marzo 2013, n. 6070.

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